Psicosetta delle Bestie a Novara, cosa dicono le motivazioni della sentenza: la Procura ricorre in Appello

È stato messo un punto (almeno fino all'Appello) nel processo che ha riguardato la Psicosetta delle Bestie. Nelle 300 pagine delle motivazioni della sentenza, pronunciata in Corte d'Assise di Novara lo scorso gennaio, è specificato che il gruppo delle Bestioline è stata una associazione a delinquere "diretta a commettere crimini contro la sfera sessuale" anche nei confronti di minori.
L’associazione, che agiva a Milano e principalmente a Cerano (provincia di Novara), era capeggiata dal guru erborista Gianni Maria Guidi, soprannominato "Il Dottore", che è stato a capo della Quintessentia Srl fino a marzo del 2023, quando è morto, a pochi giorni dall'inizio del processo (era stato ritenuto comunque incapace di stare in giudizio).
Il gruppo è stato attivo però fino al 2010 e dunque proprio per questo il reato contestato è prescritto. Su 26 imputati, solo una persona è stata quindi condannata per violenza sessuale. Mentre la maggior parte degli imputati, n virtù della prescrizione, sono stati prosciolti dalle accuse rivolte dalla sostituta procuratrice Silvia Baglivo e dal procuratore capo Giuseppe Ferrando.
Le due inchieste del 2010 a Milano e del 2018 a Novara
Le indagini sono iniziate nel 2010 quando una donna di Milano, intervistata da Fanpage.it, ha raccontato di aver subito abusi. Ha spiegato di essere stata nella setta dal 1989 fino al 1998: "Sono uscita da una setta in cui avvenivano violenze sessuali sui minori".
Michela, questo il suo nome di fantasia, ha raccontato di essere stata adescata dalla sua psicologa del tempo, Elvira Buonassisi, la quale è stata poi segnalata al consiglio disciplinare dell'ordine degli psicologi. Come dimostrato dalle indagini successive, la denuncia è arrivata nelle mani di un altro imputato (poi prosciolto) Claudio Merli, che faceva parte del gruppo ed era insegnante di "Spada Celtica", che ha poi infatti riferito al Dottore.
Nel frattempo però, alla luce di quanto detto dalla donna, a Milano è stata aperta una inchiesta che è stata poi archiviata perché non sono stati trovati riscontri sulle violenze sessuali su minori.
Nonostante questo però nel 2010 un'altra donna è uscita dalla setta e, grazie alla sua denuncia presentata nel 2018, ha permesso di riaprire una nuova inchiesta a Novara che ha condotto alla sbarra 28 persone, tra cui il Dottore. "Da circa 8 anni sono riuscita a uscire da un gruppo organizzato, una sorta di setta, a capo della quale c'era e c'è tuttora tale Guidi Gianni Maria, originario di Pavia che oggi dovrebbe avere più di settanta anni. Sono stata introdotta in questa setta quando avevo 7 anni", aveva detto Giulia nella denuncia del 12 marzo 2018.
Agli inquirenti ha raccontato che proprio all’età di 7 anni ha iniziato a subire gli abusi sessuali, principalmente da Guidi. Lui non era l'unico abusante: il gruppo, come ricostruito dalle indagini, era organizzato in “cowen”, covate, costituite da sei donne con a capo una Mami, che si relazionava direttamente col Dottore. Ecco Giulia, come dimostrato dalle indagini e confermato nel dibattimento, è stata abusata anche dalla sua Mami, Ada Avventura, morta anche lei, nella sua casa in via Piero della Francesca a Milano.
Il compito della Mami era quello di preparare la piccola all'incontro sessuale col Dottore. Per nascondere queste nefandezze, ai bambini veniva raccontato di un mondo incantato e di fiabe. Una filosofia che dopo anni abbiamo capito essere celtico-fiabesca-karmico-induista. Secondo il guru del gruppo bisognava annullare "L'io pensante" e lo si faceva attraverso pratiche sessuali, anche dolorose, su chi aveva dai 7 ai 28 anni (“l'età di Saturno”).
Non solo quindi con violenze sui minori, ma anche nei confronti dei nuovi adepti – maschi e femmine – adulti. Come riportato nella sentenza, Guidi abusava a sorpresa, in una sorta di rito iniziatico.
"L'istruttoria dibattimentale ha consentito di accertare l'esistenza di un'associazione per delinquere diretta anche alla commissione di violenze sessuali, consistenti negli atti sessuali praticati sui minori coinvolti e in quelli che il Guidi con la complicità di alcune sodali, poneva in essere sorprendendo la nuova adepta", si legge lungo la sentenza.
In sostanza il Dottore, mentre alcune donne della setta erano impegnate in rapporti sessuali di gruppo, commetteva violenza nei confronti del nuovo adepto che non si aspettava la partecipazione dell'uomo, che a volte non aveva nemmeno mai visto. Uno degli imputati ha raccontato di avere subito un approccio sessuale dal "Dottore" e di averlo accettato per restare all'interno del gruppo. In quel momento a fare da tramite era Giulia, che da bambina abusata era diventata Mami.
Vittime e carnefici si confondono nelle sette, in un'unica sofferenza in cui, da esterni, si fatica a distinguere i confini. Così come scrive l'avvocato di parte civile Silvio de Stefano nella sua richiesta di appello: "Tutte le vittime che sono riuscite ad allontanarsi hanno subito danni gravissimi e psicologici permanenti. Non si ha invece elemento alcuno per ritenere che lo stesso dolore abbiano patito gli attuali imputati".
Perché non è stato riconosciuto il reato di riduzione in schiavitù
Come si legge nelle motivazioni, non è stato riconosciuto il reato di riduzione in schiavitù: "Insussistenza del fine e del mantenimento di schiavitù". L'Accusa aveva puntato molto su questo capo di imputazione ed era la prima volta per un gruppo così grande. Si voleva infatti cercare di individuare un perimetro in cui ascrivere "il reato di setta", che è a metà tra manipolazione e coercizione. Lo stesso Giuseppe Ferrando, a capo della Procura di Novara aveva detto a Fanpage.it: "Servirebbe una norma che possa delineare meglio il confine tra schiavitù e plagio".
Per i giudici della Corte D'Assise però il reato di schiavitù non si configura. Nelle motivazioni infatti si legge che le partecipanti maggiorenni "mantenevano ampi spazi di autonomia, sintomatici di una conservata capacità di autodeterminazione difficilmente conciliabili con lo stato di asservimento".
Per quanto riguarda invece i minori coinvolti (e c'è anche un bimbo di età di 2 anni), "non viene dimostrato, quantomeno al di là di ogni ragionevole dubbio, che il gruppo delle “Bestioline” mirasse a ridurre in schiavitù le minori". La stessa Giulia, nonostante cominci a subire violenze all'età di 7 anni, nel tempo ha avuto un ruolo sempre più attivo "ancorché la sua adesione all’organizzazione non fosse all’evidenza frutto di una libera scelta, la sua successiva permanenza tra le “Bestioline” non risulta connotata da una condizione di asservimento".
È stato poi notato che a 15 anni Giulia ha deciso liberamente di non prendere più parte alle attività sessuali. E anche un'altra vittima, Caterina, è uscita dal gruppo "con modalità scarsamente compatibili con uno stato di continua soggezione, che riusciva a prendere le distanze dal gruppo senza la necessità di alcun atto di vera e propria ribellione se non interiore".
Come scritto all'inizio di questo pezzo, l'unica condanna è stata per violenza sessuale di gruppo nei confronti di una delle persone offese. A essere ritenuta colpevole è Barbara Magnani, detta "Biri", che ha assistito il "Dottore" fino alla morte, vivendo con lui. Di lei si legge nella sentenza: "Una delle figure più vicine al Guidi, sino alla sua morte. Entrava a fare parte del sodalizio sin dagli anni Novanta e prendeva attivamente parte alle violenze su minori". La sua auto era perennemente parcheggiata nel cortile della casa del Dottore a Cerano Beach, e lì ha vissuto dopo la sua morte.
Le reazioni dopo la sentenza di gennaio
La sentenza ha lasciato l'amaro in bocca alle vittime, Giulia e Caterina si sono abbracciate: "Sono molto delusa, la giustizia non esiste", sono state le prime parole pronunciate da Giulia, girando le spalle ai giornalisti, lo scorso gennaio a commento della sentenza. "Delusa, la giustizia non esiste. Mi chiedo se servirà l'appello perché vorrebbe dire rivivere le sofferenze" le parole di un'altra persona offesa.
Per il procuratore capo Giuseppe Ferrando c'è un vuoto legislativo che riguarda le sette: "Manca un inquadramento giuridico". "Fa impressione a distanza di tutti quegli anni vedere le persone offese in lacrime dopo la sentenza. La prescrizione è sempre un po' una sconfitta per lo Stato, perché i fatti sono avvenuti, ma è come se dicessimo: ‘Ci arrendiamo'. In questo caso non sono lenti i tempi della giustizia, ma perché i fatti emergono anni e anni dopo".
Per Cesap, l'associazione che si occupa di sette dal 1999, con la psicologa Lorita Tinelli e l'avvocato Marco Marzari: "Abbiamo provato a colmare questo vuoto con un disegno di legge sulla manipolazione mentale di cui si è discusso la scorsa Legislatura, poi caduto in un nulla di fatto". La deputata Stefania Ascari ha rivolto un'interrogazione parlamentare nella quale sottolinea come la sentenza sulla psicosetta di Novara evidenzi la mancanza di leggi specifiche. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio aveva risposto all'interrogazione, affermando: "Un vuoto normativo nelle organizzazioni settarie? È perfettamente vero. Da pubblico ministero ho fatto dei processi, non dico quali, e ci sono vuoti normativi".
I ricorsi
La sostituta procuratrice Baglivo ha depositato richiesta di appello: nelle 34 pagine chiede che venga ripensato quanto scritto nella sentenza. Per lei sussiste il reato di riduzione in schiavitù, mentre l'associazione a delinquere è dimostrata fino al 2018. Al contrario di quanto scritto nella sentenza, per la procura non vi era un clima di generale consenso.
Per questo motivo, nella richiesta di Appello, scrive: "Lo scopo è proprio quello di ottenere un consenso a qualsiasi pratica il gruppo decida di effettuare. Non c'è una presunzione di consenso" perché "si prescinde del tutto dallo stesso. Anzi, nei pochi casi in cui le vittime hanno opposto resistenza sono state poi sottoposte a pratiche prolungate e sempre più violente proprio con lo scopo dichiarato di abbattere l'io pensante".
Inoltre, anche se il Dottore negli ultimi anni non partecipava più attivamente, a causa della vecchiaia e della paura di essere "scoperto", indirizzava le Mami in modo che potessero reclutare nuove adepte, e questo si è scoperto con le intercettazioni telefoniche più recenti. "Ancora nel 2018-2019 si assiste a una incessante attività di adescamento delle nuove prede", scrive Baglivo. Nei messaggi gli imputati scrivono “purché rimaniamo attivi, purché si muova qualcosa".
A depositare appello anche Barbara Magnani, attraverso il suo avvocato Silvia Alvares, che la ritiene innocente e non colpevole di violenza sessuale aggravata. Anche due imputati prosciolti hanno fatto ricorso alla decisione della corte: chiedono di essere dichiarati innocenti. Per loro due, a onore del vero, la stessa pm aveva chiesto l'assoluzione nella sua requisitoria (e che esclude dalla richiesta di appello).
Così pure l'avvocato di parte civile Silvio De Stefano nell'impugnare la sentenza (la sua assistita ha subito abusi all'età di 6 anni), insiste sul fatto che l’associazione a delinquere sia proseguita fino al 19 luglio 2020. Ma anche, per l'avvocato: "Il fatto stesso che Guidi fosse rimasto il capo indiscusso del gruppo indica che nessun mutamento potesse essere intervenuto nello scopo dell'organizzazione, che era sempre quello di attrarre e sottomettere sessualmente ragazze più o meno giovani, anche minori di età".
Hanno inoltre presentato ricorso tutte le parti civili di persone offese, tra cui Silvia Calzolaro, avvocato di Giulia.
Uno degli imputatati prosciolto dalla prima sentenza, amico di Guidi dalla prima ora, ha detto a chi scrive: "Mai ho visto violenze sessuali sui minori, non dubito che siano avvenute, ma se le avessi viste le avrei denunciate". Ecco, a questo ritornello, ripetuto da molti imputati nelle loro dichiarazioni spontanee, la corte d'Assise di Novara non ha creduto e lo ha messo nero su bianco nelle motivazioni. Vedremo che cosa penserà la corte d'assise d'appello di Torino, non prima di aprile 2026.