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Picchiata e segregata in casa dal marito mafioso con l’aiuto delle sorelle: al via il processo

Un uomo di 54 anni affiliato a Cosa Nostra è stato rinviato a giudizio per maltrattamenti nei confronti della moglie aiutato anche da sorella e madre: la violenza avveniva con metodo mafioso.
A cura di Giorgia Venturini
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Foto di repertorio
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Era vittima dei maltrattamenti del marito e delle sue cognate e la suocera. Per anni era stata segregata in casa: dopo il matrimonio, nel 2003, ha vissuto con la famiglia prima a Gela, in Sicilia, e poi a Busto Arsizio, in provincia di Varese. Tutto avveniva seguendo il metodo mafioso. L'uomo, 54 anni, infatti è affiliato a Cosa Nostra: è ora imputato in un processo.

La donna aveva poi trovare il coraggio di denunciare il marito: è riuscita a chiedere aiuto dopo anni di vessazioni e minacce che il marito ha rivolto anche a suoi colleghi e conoscenti. L'uomo risulta residente a Busto Arsizio, ma il processo si terrà a Caltanissetta: a coordinare le indagini infatti è stata sia la Direzione distrettuale antimafia di Milano, sia la Procura di Caltanissetta. Intanto la vittima è diventata collaboratrice di giustizia e gode della protezione dei testimoni.

Il protocollo Liberi di scegliere

Si tratta del primo caso in Lombardia che è stato attivato il protocollo "Liberi di scegliere". Il protocollo è attivo dal 2019 in Italia ed è stato voluto fortemente da Roberto Di Bella, Presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, e d'associazione Libera: "Il Protocollo vuole offrire un sostegno educativo, formativo e psicologico ai minori, provenienti da famiglie protagoniste della criminalità organizzata, che sognano di crescere in altre realtà".

In Calabria in questi anni sono arrivate segnalazioni di donne e figli che hanno trovato riparo nel sistema di protezione dello Stato. Poi il caso anche in Lombardia, dove da decenni la ‘ndrangheta è presente anche qui.

Come ha spiegato a Fanpage.it l'avvocata Enza Rando, che difende la donna nel processo a Caltanissetta: "Questo è il primo caso in cui in Lombardia si è venuti a conoscenza. Ce ne possono essere molti altri".

I figli dei mafiosi nel sistema di protezione

A spiegare il protocollo a Fanpage.it è anche Ciro Cascone, procuratore capo del Tribunale per i minorenni di Milano, intervenuto nel caso della donna lombarda che ha denunciato in quanto era coinvolta anche la figlia minorenne: "Il protocollo dà la possibilità a ragazzi che vengono da famiglie strutturate all'interno della criminalità organizzata di scegliere il proprio futuro. Importante è offrire a questi ragazzi la possibilità di scegliere, di offrire loro un'alternativa alla strada obbligata dal padre".

Così il giudice minorile, una volta accolta la richiesta, può allontanare il minore. "Ma attenzione – precisa il procuratore – non vuol dire togliere i figli ai mafiosi. Qui non togliamo i figli a nessuno: la maggior parte di questi provvedimenti sono richiesti solitamente dalla madre. Deve però arrivarci la richiesta. Che qualcuno chieda aiuto: solo così madre e figli possono andare sotto protezione o in una struttura protetta".

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