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Osnago, il Capodanno degli operai davanti all’azienda che chiude: “Ci hanno tolto la dignità”

Dopo il Natale festeggeranno anche il Capodanno in presidio davanti alla loro azienda, che ha annunciato l’intenzione di trasferisi altrove. Fine 2020 amarissima per i 70 lavoratori della Voss: da 17 giorni sono in picchetto davanti all’ingresso della filiale italiana di Osnago (Lecco) della multinazionale tedesca che lo scorso 10 dicembre ha annunciato lo smantellamento dello stabile e il trasferimento dei macchinari verso l’estero. “Non solo i vertici non vogliono trovare un accordo con noi, ma così, oltre a toglierci il lavoro, stanno calpestando anche la nostra dignità”, racconta a Fanpage.it un’operaia di 41 anni.
A cura di Giorgia Venturini
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Le operaie della Voss di Osnago (Lecco) in presidio
Le operaie della Voss di Osnago (Lecco) in presidio

Festeggeranno l'arrivo del nuovo anno fuori dalla loro azienda di Osnago, in provincia di Lecco. Con una fetta di panettone, magari del Vin Brulé per il brindisi di mezzanotte e il loro albero di Natale decorato con degli stracci neri. "Perché è così che ci ha trattato l'azienda", tiene subito a precisare a Fanpage.it Alessandra Crippa, una delle 32 operaie – in tutto sono 70 i lavoratori – che da 17 giorni protestano davanti alla Voss di Osnago. Qui la filiale italiana dell'azienda tedesca, che nel 2016 è diventata proprietaria della storica torneria del paese, lo scorso 10 dicembre ha annunciato ai 70 dipendenti lo smantellamento dello stabile e con questo anche i licenziamenti, bloccati però fino al 31 marzo dai decreti governativi anti Covid. Tutto per affari: la Voss, infatti, ha deciso di trasferire i macchinari nelle sedi polacche e tedesche dove il mercato è più redditizio.

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Il presidio per impedire il trasferimento dei macchinari

"L'azienda sapeva già a luglio che avrebbe smantellato una delle due sedi di Osnago. Ma a noi non è stato detto nulla, tanto che pochi giorni prima dell'annuncio del 10 dicembre ci è stata chiesta la taglia per le nuove divise da lavoro", racconta Alessandra, 41 anni di cui 13 come operaia nell'impresa di Osnago. Fino all'amaro regalo: "Per noi è stato un duro colpo. Lo stesso giorno della notizia del licenziamento, alcuni miei colleghi hanno firmato il rogito per la casa nuova". Da allora, a turni di piccoli gruppi, i 70 lavoratori presidiano notte e giorno un picchetto fuori dall'azienda per impedire il trasferimento dei macchinari. E tutta Osnago è come se li avesse "adottati": "Il Comune per ripararci dal freddo ha messo a nostra disposizione un modulo abitativo, un cittadino ci ha prestato il suo camper mentre altre persone si alternano portandoci termos con caffè caldo, panettoni e legna per il fuoco. Una solidarietà che ci ha commosso".

I vertici dell'azienda assenti ai tavoli regionali e provinciali

Se non manca il dialogo con cittadini e sindacalisti, anche loro a turno presenti al presidio, la comunicazione con i vertici dell'azienda è totalmente assente. "Non solo non si sono mai presentati ai tavoli provinciali e regionali organizzati dalle istituzioni statali e dai sindacati per trovare una soluzione, ma quando si presentano davanti all'azienda è solo per insultarci", aggiunge Alessandra. Che poi racconta l'episodio più triste di questi 17 giorni: "La tensione è alta. Lo scorso 23 dicembre il segretario generale della Fim Cisl Lombardia Andrea Donegà è stato investito dall'auto dell'amministratore delegato dell'azienda".

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I lavoratori ora sono in cassa integrazione

Il primo pensiero di Alessandra va ai suoi colleghi, al loro futuro incerto: "Il nostro picchetto continuerà finché non troveremo un accordo perché trovare ora un posto di lavoro nuovo per molti di noi è impossibile. Penso alle mie colleghe di 50 anni: siamo operaie, molte delle quali in una famiglia a monoreddito, non specializzate e non formate, dal momento che l'azienda non ha mai provveduto ai nostri corsi di formazione. Il nostro lavoro nelle altre imprese è sostituito dai macchinari. Non avremmo futuro". Ad oggi i lavoratori sono in cassa integrazione: "Non vogliamo vivere di ammortizzatori sociali, ma ripartire da zero nel mondo del lavoro vuol dire accettare proposte precarie".

Chiedono dignità e sicurezza economica

I lavoratori chiedono tutela e dignità, due sicurezze che solo il lavoro riesce a dare. "Perché le multinazionali straniere non possono comprare le nostre aziende e poi abbandonare i propri operai. Non ci bastava la pandemia, dopo questa notizia il 2020 è proprio un anno da dimenticare", conclude Alessandra con la voce strozzata da emozioni e rabbia prima di augurare un buon 2021.

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