
Festeggeranno l'arrivo del nuovo anno fuori dalla loro azienda di Osnago, in provincia di Lecco. Con una fetta di panettone, magari del Vin Brulé per il brindisi di mezzanotte e il loro albero di Natale decorato con degli stracci neri. "Perché è così che ci ha trattato l'azienda", tiene subito a precisare a Fanpage.it Alessandra Crippa, una delle 32 operaie – in tutto sono 70 i lavoratori – che da 17 giorni protestano davanti alla Voss di Osnago. Qui la filiale italiana dell'azienda tedesca, che nel 2016 è diventata proprietaria della storica torneria del paese, lo scorso 10 dicembre ha annunciato ai 70 dipendenti lo smantellamento dello stabile e con questo anche i licenziamenti, bloccati però fino al 31 marzo dai decreti governativi anti Covid. Tutto per affari: la Voss, infatti, ha deciso di trasferire i macchinari nelle sedi polacche e tedesche dove il mercato è più redditizio.

Il presidio per impedire il trasferimento dei macchinari
"L'azienda sapeva già a luglio che avrebbe smantellato una delle due sedi di Osnago. Ma a noi non è stato detto nulla, tanto che pochi giorni prima dell'annuncio del 10 dicembre ci è stata chiesta la taglia per le nuove divise da lavoro", racconta Alessandra, 41 anni di cui 13 come operaia nell'impresa di Osnago. Fino all'amaro regalo: "Per noi è stato un duro colpo. Lo stesso giorno della notizia del licenziamento, alcuni miei colleghi hanno firmato il rogito per la casa nuova". Da allora, a turni di piccoli gruppi, i 70 lavoratori presidiano notte e giorno un picchetto fuori dall'azienda per impedire il trasferimento dei macchinari. E tutta Osnago è come se li avesse "adottati": "Il Comune per ripararci dal freddo ha messo a nostra disposizione un modulo abitativo, un cittadino ci ha prestato il suo camper mentre altre persone si alternano portandoci termos con caffè caldo, panettoni e legna per il fuoco. Una solidarietà che ci ha commosso".
I vertici dell'azienda assenti ai tavoli regionali e provinciali
Se non manca il dialogo con cittadini e sindacalisti, anche loro a turno presenti al presidio, la comunicazione con i vertici dell'azienda è totalmente assente. "Non solo non si sono mai presentati ai tavoli provinciali e regionali organizzati dalle istituzioni statali e dai sindacati per trovare una soluzione, ma quando si presentano davanti all'azienda è solo per insultarci", aggiunge Alessandra. Che poi racconta l'episodio più triste di questi 17 giorni: "La tensione è alta. Lo scorso 23 dicembre il segretario generale della Fim Cisl Lombardia Andrea Donegà è stato investito dall'auto dell'amministratore delegato dell'azienda".

I lavoratori ora sono in cassa integrazione
Il primo pensiero di Alessandra va ai suoi colleghi, al loro futuro incerto: "Il nostro picchetto continuerà finché non troveremo un accordo perché trovare ora un posto di lavoro nuovo per molti di noi è impossibile. Penso alle mie colleghe di 50 anni: siamo operaie, molte delle quali in una famiglia a monoreddito, non specializzate e non formate, dal momento che l'azienda non ha mai provveduto ai nostri corsi di formazione. Il nostro lavoro nelle altre imprese è sostituito dai macchinari. Non avremmo futuro". Ad oggi i lavoratori sono in cassa integrazione: "Non vogliamo vivere di ammortizzatori sociali, ma ripartire da zero nel mondo del lavoro vuol dire accettare proposte precarie".
Chiedono dignità e sicurezza economica
I lavoratori chiedono tutela e dignità, due sicurezze che solo il lavoro riesce a dare. "Perché le multinazionali straniere non possono comprare le nostre aziende e poi abbandonare i propri operai. Non ci bastava la pandemia, dopo questa notizia il 2020 è proprio un anno da dimenticare", conclude Alessandra con la voce strozzata da emozioni e rabbia prima di augurare un buon 2021.