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Donna morta dopo la liposuzione, il medico era già a processo a Brescia: “Usava la grappa come anestetico”

Si trovava già sotto processo a Brescia con l’accusa di lesioni gravissime José Lizarraga Picciotti, il medico ora indagato a Roma per la morte della 46enne Ana Sergia Alcivar Chenche a seguito di un intervento di liposuzione.
A cura di Francesca Del Boca
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José Lizzaraga Picciotti
José Lizzaraga Picciotti

Si trovava già sotto processo a Brescia con l'accusa di lesioni gravissime José Lizarraga Picciotti, il medico ora indagato a Roma insieme a un infermiere e un anestesista per la morte, il 7 giugno scorso, della 46enne Ana Sergia Alcivar Chenche a seguito di un intervento di liposuzione.

Anche in questo caso sotto i riflettori della magistratura c'è un intervento per liposuzione a cui si era sottoposta una donna. "Mi ha rovinato, tra dolori ancora attuali e l'addome irriconoscibile" ha spiegato la signora, che aveva denunciato il medico dopo una doppia operazione: la prima in una clinica di Roma, e la seconda in un edificio a Desenzano del Garda (Brescia). "Era un intervento volto a cercare di rimediare alle complicazioni del primo", le sue parole. Ma non solo. "Era arrivato con una bottiglia di grappa da utilizzare come anestetico".

E non è certo l'unica paziente. Il chirurgo, 65enne peruviano, ha altri precedenti per lesioni: era infatti già stato denunciato da alcune pazienti per interventi di chirurgia estetica nel 2006 e nel 2018. Nel 2013 è stato condannato per lesioni nei confronti di una paziente che si era sentita male dopo un intervento effettuato nel 2006; nel 2015 la Corte d'Appello aveva decretato però la prescrizione del caso. In più il dottor Lizarraga Picciotti lavorava senza autorizzazione, e per questo era già finito al centro di svariati controlli da parte dei carabinieri del Nas. Sul profilo Instagram, tra foto di auto di lusso, modelle e viaggi da sogno, scriveva intanto: "Tutta la chirurgia plastica ed estetica del Sudamerica a Roma".

A provocare l'infezione mortale che ha portato al decesso della 46enne, secondo quanto emerso al momento, sarebbe stato l'uso di materiale non idoneo ad essere impiegato in interventi chirurgici e l'impiego di personale non qualificato, così come l'assenza di defibrillatore e della strumentazione di primo intervento. "Stavo per morire anche io, non voleva portarmi in ospedale. Avevo la febbre a 41 e sangue che usciva dalle ferite, mi ha portata prima dalle suore e poi a casa sua per quattro giorni. Lo studio doveva essere liberato", era stata la testimonianza di un'altra paziente. "Nell'equipe che mi aveva operato c'era inoltre anche suo cognato, presentato come infermiere. Ma non lo era".

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