L’aggressione di Milano dimostra che qualcosa non funziona nella gestione di persone con disturbi psichiatrici

Vincenzo Lanni, l’uomo che ha accoltellato ieri una donna a Milano in piazza Gae Aulenti, ha 59 anni e un passato segnato da un’aggressione compiuta dieci anni fa con le medesime modalità. L’uomo, programmatore informatico che nel 2012 aveva perso il lavoro, viene descritto da chi lo conosce come un soggetto particolarmente schivo e solitario. Nessun legame significativo, nessuna relazione stabile, solo una grande passione per gli scacchi e il crime.
Le aggressioni a Bergamo del 2015
Dieci anni fa aveva aggredito a Bergamo, la sua città, una coppia di anziani, colpendoli ripetutamente con un grosso coltello da cucina. La stessa tipologia di arma utilizzata ieri per l’aggressione compiuta a Milano, la stessa scelta di vittime prese a caso, che non conosceva e con le quali non aveva alcun tipo di legame. Cambia la città ma colpisce ancora in pieno giorno, sotto gli occhi dei passanti e delle telecamere di sorveglianza che oggi, come allora, serviranno per identificarlo. Lascia l’arma sulla scena e si allontana con calma, senza scappare.
Dieci anni fa, dopo l’aggressione agli anziani, si era appostato con l’intento di strangolare una ragazza con il cavetto delle cuffie, l’aveva già individuata quando era stato raggiunto dalle forze dell’ordine e fermato. Lanni avrebbe dichiarato quindi di aver commesso quelle aggressioni perché era fuori di sé, di aver pensato di farla finita, ma non avendo trovato il coraggio aveva ritenuto che far del male ad altri avrebbe potuto alleviare il suo disagio.
Quella volta era stata disposta una perizia psichiatrica e Lanni era stato dichiarato parzialmente capace di intendere e di volere. Una capacità la sua, valutata “grandemente scemata”. Gli era stato diagnosticato un disturbo schizoide di personalità ed era stato condannato a 5 anni di reclusione e 3 anni da scontare in una Rems. Proprio da una comunità sarebbe stato allontanato, per ragioni che devono essere chiarite, o forse scappato, prima di compiere l’aggressione a Milano.
Il totale distacco emotivo di Lanni
Alla luce di quanto accaduto, appare importante spiegare come funzionino le persone affette dal disturbo di personalità diagnosticato a Lanni e chiedersi se, a fronte di una diagnosi di quel tipo, sia stata valutata la pericolosità dell’uomo, che a distanza di dieci anni si è macchiato ancora dello stesso crimine.
Quello che caratterizza in particolar modo la persona schizoide è la sua incapacità e disinteresse alle relazioni e la scelta di distacco sociale. Questo porta i soggetti con questo disturbo a scegliere attività individuali, che non implichino pertanto un contatto, anche emotivo e un’interazione sociale e a non provare interesse, né piacere, nell’instaurare e mantenere relazioni affettive, siano esse di intimità o amicali. Alla base si riscontra una forte freddezza emotiva e un appiattimento dell’affettività. Caratteristiche riscontrabili nelle condotte di Lanni, che lo stesso mostra al compimento delle aggressioni. Un totale distacco emotivo che lo porta dopo l’accoltellamento degli anziani, nel caso dell’aggressione a Bergamo, ad appostarsi con l’intento di uccidere una persona e nel caso dell’aggressione a Milano, ad allontanarsi tranquillamente dalla scena, per tornare all’hotel dove alloggiava da giorni. Verrà infatti trovato dalle forze dell’ordine con gli stessi indumenti indossati nel corso dell’aggressione.
L'idea di far del male a se stessi porta un rischio elevato di agire con violenza
In queste situazioni spesso la depressione arriva come complicazione del disturbo di personalità, anche a seguito del progressivo isolamento sociale e relazionale. Caratteristiche queste sicuramente indicative di una pericolosità sociale del soggetto. È infatti noto come l’ideazione persistente di far del male a se stessi sia fortemente correlata al rischio elevato di agire con violenza, anche letale, ad altri. È nei casi delle forme depressive più gravi che possono emergere nel soggetto pensieri violenti, intenzioni di far del male, a se stessi o agli altri. Una sorta di spirale che porta a un progressivo peggioramento della condizione del soggetto e di conseguenza a un progressivo aumento della sua pericolosità sociale.
È quindi imprescindibile oggi chiedersi che cosa non funzioni nel contenimento di situazioni franche come quella di Lanni, in un sistema che sembra, ancora una volta, presentare carenze di risorse e soluzioni che nel garantire una funzione rieducativa e nel caso di specie riabilitativa del soggetto, possano anche rispondere al diritto di sicurezza.