La mamma del carabiniere morto nel 2007 sulle tracce di Messina Denaro: “Era in Sicilia per combattere la mafia”
"Ma chi te l'ha fatto fare di venire in Sicilia?". Glielo chiedevano tutti, a quel giovane carabiniere della provincia di Bergamo. Anche Totò Riina in persona, quando se lo trovò davanti in tribunale. "Sono venuto giù per te", gli rispose lui.
Si chiamava Filippo Salvi, il giovane maresciallo dei Ros di Palermo morto a Bagheria nel 2007 durante un'operazione finalizzata proprio alla cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro. Aveva 36 anni, e il sogno di combattere contro le ingiustizie del Paese. "Dell'episodio con Totò Riina ho saputo dopo. Me lo ha raccontato un suo amico, come tutto il resto, perché Filippo non diceva mai nulla del suo lavoro. Le poche volte che tornava a casa ripeteva solo “va tutto bene, mamma, va tutto bene”", racconta oggi la madre Renza a Il Corriere della Sera.
La cattura del boss Matteo Messina Denaro è stata dedicata al giovane maresciallo Filippo Salvi
Una donna che abita ancora tra le montagne d'origine del figlio, a Botta di Sedrina in Val Brembana (Bergamo). 77 anni, un passato da maestra del paese e una ferita che non si può più rimarginare. Un piccolo sollievo è arrivato però adesso, dalle parole del colonnello che dopo 30 anni di ricerche ha catturato Matteo Messina Denaro: "Dedico questo successo al nostro maresciallo Filippo Salvi". "È stata una cosa inaspettata, mi ha fatto un grande piacere", ha detto lei. "Hanno iniziato a scrivermi alle 9.30, ma non capivo. Poi mio marito ha acceso la televisione". Filippo, insomma, non ha dato la vita invano.
La lotta alla mafia e l'amore per la Sicilia
Un sacrificio nato anche dal grande amore per la terra dell'isola siciliana. "Mi disse che non era fatto per rimanere chiuso in un ufficio e che sarebbe partito per la Sicilia", racconta Enza di Filippo poco più che ragazzino, un giovane pieno di vita e di interessi, di amore per la fidanzata e per il cane, che "faceva sempre due scalini alla volta". E confermano i suoi compagni di Palermo, per i quali non era Filippo ma "Ram", data la sua spiccata predisposizione per l'informatica: "Il polentone più terrone. Amava la Sicilia più di noi". Qui lavora con il Capitano Ultimo, e nel team che incastra Bernardo Provenzano. Ma pensa sempre alla famiglia lontana e alle sue vette bergamasche. È lì che vuole finire la sua vita. "Tieni sempre questa casa, sarà il nostro nido", confida alla mamma. "Oggi andiamo avanti per lui. Gli parlo sempre, anche in questi giorni l’ho sgridato". In camera c'è ancora la sua divisa appesa nell'armadio, come tanti anni fa.