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Indagato perché ha tolto i fiori dalla lapide di Mussolini: “L’antifascismo è diventato reato”

Cecco Bellosi è indagato per danneggiamento aggravato dalla Procura di Como. Intervistato da Fanpage.it ha confermato di aver tolto i fiori dalla lapide di Mussolini a Giulino di Mezzegra lo scorso 28 aprile, ma di non essere stato lui a rompere la teca con la foto del duce.
A cura di Enrico Spaccini
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Cecco Bellosi
Cecco Bellosi

Lo scorso 28 aprile Cecco Bellosi, ex esponente di Potere Operaio che da oltre 20 anni lavora come coordinatore dell'Associazione comunità Il Gabbiano, ha tolto i fiori dalla lapide commemorativa di Benito Mussolini a Giulino di Mezzegra. Proprio in quel paesino comasco, lo stesso giorno di 78 anni fa il dittatore venne fucilato a morte. L'11 maggio, Bellosi ha scoperto di essere indagato dalla Procura per danneggiamento aggravato perché la teca, meta di nostalgici del fascismo che ogni anno le fanno visita, che custodisce le foto di Mussolini e Clara Petacci è stata rotta.

Il senatore Tino Magni ha presentato un'interrogazione parlamentare su questa vicenda. Al ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, l'onorevole di Sinistra Italiana ha chiesto quali misure intende adottare per porre fine a queste manifestazioni di apologia di fascismo. Intanto, Bellosi si difende dicendo di non essere stato lui a romperla, anche se intervistato da Fanpage.it rivendica la bontà del suo gesto: "Quei fiori dovrebbero essere lì per i partigiani, non per il dittatore. Penso che essere antifascista sia diventato un reato".

Perché ha deciso di togliere i fiori sulla lapide dove è stato ucciso Mussolini?

Era la sera del 28 aprile, una data storica dal forte valore simbolico. Il 28 aprile 1945 è finita la dittatura fascista grazie alla Guerra di Liberazione. Proprio lì, a Giulino di Mezzegra. Quella teca non deve stare lì, dove invece deve stare un monumento in ricordo dei partigiani della Cinquantaduesima Garibaldi, che hanno combattuto e sono morti per la libertà di tutti noi. A Berlino non hanno mai permesso di porre una lapide in ricordo di Hitler, soprattutto sul bunker dove era asserragliato.

Tornando a quella sera, ero a Dongo per una conferenza sul colonialismo italiano in Africa. Avviandomi verso casa, ho visto in giro delle squadre fasciste nelle loro divise d’ordinanza, per cui ho pensato che fossero stati a Giulino, che si trova, con una breve deviazione, sulla strada del ritorno. Sono salito, sono sceso dalla macchina e ho tolto i fiori. Che ripeto, dovrebbero essere lì per i partigiani, non per il dittatore.

E poi cos’è successo? Perché lei è indagato dalla Procura?

Non è successo niente per diversi giorni. Penso che nel corso degli anni gesti simili siano stati fatti da molti altri antifascisti. Forse è stata la mia presenza ad aver prodotto l’attenzione della magistratura. La mattina dell’11 maggio sono stato perquisito dai carabinieri, su mandato della Procura di Como, come persona indagata per il reato di danneggiamento, con anche l’ordinanza di ritiro del telefono.

Alla fine mi è stato chiesto se volevo fare una dichiarazione spontanea e ho fatto mettere a verbale che non capivo il senso di quella operazione, visto che io mi ero limitato a togliere dei fiori da un luogo dove non dovevano stare. Solo dai giornali, nei giorni successivi, ho saputo che sulla teca c’era stata un’effrazione. Ma non sono stato io: sia quando sono arrivato, sia quando sono andato via il vetro, della teca era intatto.

Ha ricevuto minacce o insulti dopo il clamore generato dal suo gesto?

Direttamente no, almeno finora, anche se il mio telefono continua a essere sotto sequestro.

Se vedesse altri fiori sulla lapide, li toglierebbe di nuovo?

Non passavo da quel luogo da anni e il motivo in cui ci sono passato la sera di quella data simbolo l’ho spiegato prima. So che quella teca non deve stare lì.

Vede spesso persone a commemorare la lapide?

Il motivo per cui non deve stare lì è proprio perché diventa ogni anno l’occasione per la reiterazione del reato di apologia di fascismo, senza che la magistratura sia mai intervenuta. Lo ha fatto invece nei miei confronti. Per cui penso che l’antifascismo, e non il fascismo, sia diventato un reato.

Per il resto io conduco una vita in cui sono sempre impegnato nel lavoro di comunità e, al massimo, in qualche camminata in montagna. Le montagne dei partigiani. Per cui non ho molto tempo per andare in giro.

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