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Cosa vuol dire che l’acqua del rubinetto è contaminata da Pfas e quando dobbiamo preoccuparci

“I gestori trattando l’acqua, ma le istituzioni non possono lasciarli soli”. Sara Valsecchi, ricercatrice dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Irsa-Cnr), torna insieme a Fanpage.it sugli ultimi report di Greenpeace che segnalano la presenza di sostanze perfluoroalchiliche nell’acqua potabile della città di Milano.
Intervista a Dott.ssa Sara Maria Valsecchi
Ricercatrice dell'Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Irsa-Cnr)
A cura di Fabio Pellaco
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"Se oggi i livelli sono calati, significa che i gestori sono intervenuti, ma le istituzioni non possono lasciarli soli". Sara Valsecchi, ricercatrice dell'Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Irsa-Cnr), commenta insieme a Fanpage.it gli ultimi dati pubblicati da Greenpeace Italia sulla contaminazione da Pfas nell'acqua potabile di Milano.

L'organizzazione ambientalista ha analizzato i campionamenti effettuati dal gestore della rete acquedottistica del capoluogo lombardo e ha osservato che nell'acqua potabile sono presenti sostanze perfluoroalchiliche. Nonostante nessun campione superi i limiti di legge, Greenpeace sostiene che la presenza di Pfas "può costituire un pericolo anche a concentrazioni molto basse".

Dottoressa, partiamo dall'inizio, cosa si intende quando parliamo di Pfas?

Sotto la definizione di Pfas rientrano tantissime sostanze che hanno la caratteristica di avere un legame carbonio-fluoro. Sono sostanze di produzione industriale. Tutte queste sostanze sono molto persistenti oppure si degradano in sostanze molto persistenti e quindi non possono essere smaltite in natura. Alcune di queste sostanze si accumulano negli organismi e altre sono molto solubili in acqua. Pertanto sono difficilmente eliminabili con trattamenti normali.

Sara Valsecchi, ricercatrice dell'Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Irsa-Cnr)
Sara Valsecchi, ricercatrice dell'Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Irsa-Cnr)

Dove troviamo queste sostanze?

Alcune di queste sostanze sono usate a livello industriale per produrre fluoropolimeri, come il teflon. Sono presenti in numerosi prodotti commerciali: vengono usati nei cosmetici, per il trattamento dei materiali che devono venire a contatto con gli alimenti per renderli impermeabili. Il problema sorge quando i prodotti si degradano e rilasciano i Pfas nell'ambiente. Quindi siamo mediamente esposti a queste sostanze, con una serie di prodotti che usiamo, e in più è presente il problema dello smaltimento dei rifiuti.

Credo che nei posti dove vive l'uomo non esista un luogo dove non si abbia presenza di Pfas, compreso il Polo dove sono arrivate trasportate dalle correnti oceaniche. Gli ambienti più contaminati sono quelli esposti agli usi industriali oppure allo smaltimento dei rifiuti. La Lombardia è una zona molto antropizzata quindi esistono tante fonti di inquinamento puntuale.

La legge italiana prevede un controllo sull'acqua potabile, ma l'obbligo per i gestori partirà solo a gennaio 2026.

Nell'ultimo decreto legislativo è già presente l'invito rivolto ai gestori di limitare i livelli di contaminazione. In realtà, i gestori si sono portati avanti virtuosamente iniziando a implementare i metodi e controllando lo stato di contaminazione delle acque da loro distribuite. La nuova legge obbliga i gestori a redigere dei piani di sicurezza dell'acqua, individuando se le acque a cui attingono, siano di falda o di sorgente, possano essere contaminate e, in caso, cercare di prevenire l'inquinamento.

Quali sono le soluzioni che si possono attuare nell'immediato?

I gestori possono chiedere alle istituzioni che vengano eliminate le fonti di inquinamento. Direttamente possono solo intervenire trattando l'acqua che immettono negli acquedotti. In Lombardia i Pfas che per primi sono stati normati, i Pfoa e Pfos, possono essere adeguatamente rimossi con un trattamento a base di carboni attivi. Altri Pfas, la cui struttura molecolare è più corta, sono solubili e il trattamento al momento utilizzato non è sempre così efficace. Questi ultimi, infatti, sono meno bioaccumulabili, quindi non si fermano negli organismi viventi, ma essendo molto solubili la loro presenza in grande quantità nell'acqua potabile ci espone comunque al rischio di contaminazione.

In conclusione, dobbiamo preoccuparci per l'acqua che beviamo?

In generale sono a favore dell'uso dell'acqua di rubinetto, perché è più controllata. Servono però politiche di prevenzione e protezione delle sorgenti di acqua. Al momento, invece, i gestori sono abbandonati a dover trattare l'acqua come unica soluzione.

Il fatto che prima siano state trovate delle concentrazioni di Pfas alte e adesso sono risultate più basse, secondo me significa che i gestori hanno implementato delle misure di riduzione dell'inquinamento. Se continuiamo a permettere che questi composti vengano scaricati nell'ambiente, la concentrazione raggiungerà un livello tale che anche il trattamento sarà insufficiente e il danno diventerà irreversibile.

Bisogna intervenire con delle politiche di riduzione dell'impatto dell'inquinamento. Sono le istituzioni a dover agire. Come ricercatori possiamo andare ad analizzare se i trattamenti funzionano e informare le autorità, perché non è detto che ne siano al corrente. Una volta informati devono prendere delle iniziative e non lasciare i gestori da soli.

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