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Cosa sappiamo sulle tracce di tranquillanti trovate nel corpo di Diana Pifferi

A Fanpage.it, gli avvocati di Alessia Pifferi spiegano che non è stata ancora depositata l’autopsia svolta sul corpo di Diana Pifferi che, oltre a confermare la presenza di benzodiazepine, potrà chiarire tutti i dubbi che gravitano attorno alla somministrazione di tranquillanti sulla piccola.
A cura di Ilaria Quattrone
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È di alcuni giorni fa la notizia secondo cui sarebbero state trovate tracce di benzodiazepine nel sangue e nei capelli di Diana, la bimba di 18 mesi morta di stenti dopo che la madre Alessia Pifferi l'ha abbandonata in casa per sei giorni.

Intervistati da Fanpage.it, gli avvocati della 37enne – Luca D'Auria e Solange Marchignoli – spiegano che al momento non è ancora stata depositata la relazione finale sull'autopsia. Solo questa, oltre a confermare la presenza o meno di tranquillanti, darà informazioni sulla tipologia di traccia, sulla quantità e su dove è stata trovata. 

Quali elementi mancano

"Non abbiamo nessuna indicazione ufficiale da atti della Procura e della Medicina legale. Non possiamo prendere un dato – precisa D'Auria – in maniera neutra e costruirci su una narrazione perché quel dato può essere visto e interpretato in diverse maniere".

Il legale chiarisce che "la traccia non è un dato sacro. È un dato tutto da interpretare. Potrebbe essere una traccia che deriva da un'assunzione di farmaci del tutto leciti, magari al fianco di una terapia fatta mesi prima sulla bambina, e che lasciano residui sui capelli. Possono essere tantissime le ragioni. Inoltre non è da escludere che potrebbero essere anche tracce da contaminazione".

Dello stesso avviso la collega Marchignoli che a Fanpage.it afferma: "Sono convinta che la signora non abbia dato nulla di tutto ciò. Conosco la storia della bambina e, avendo il quadro completo delle informazioni, sono serena".

Le analisi dattiloscopiche

Gli avvocati spiegano di aver chiesto l'esecuzione di analisi dattiloscopiche, richiesta che però è stata respinta dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Milano: "L'esame biologico – continua il legale – fornisce dati relativi alla presenza del Dna di un soggetto sui reperti. Quello dattiloscopico consente di trovare l'impronta digitale di qualcuno su quei reperti. Perché una cosa va fatta e l'altra no? Il dattiloscopico è probabilmente più semplice ed è più facile che dia risultati".

"Ancora una volta è stato saltato un approfondimento scientifico e ne è stato dato un altro che a noi va bene, perché lo avevamo comunque richiesto, ma che secondo noi andava fatto insieme a quello dattiloscopico. Anche perché è possibile che una traccia sia degradata. Quindi perché non farli tutti?".

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