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Cosa c’è all’origine dell’omicidio di Voghera: perché una mamma ha strangolato il figlio di un anno

Cosa spinge una madre a strangolare il proprio figlio di appena un anno e quali sono le motivazioni sottese all’infanticidio avvenuto a Voghera.
A cura di Anna Vagli
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Questa mattina a Voghera si è consumato l’ennesimo infanticidio. Un'ennesima tragedia che si aggiunge a un bollettino estivo senza precedenti: lo scorso anno era toccato ad Elena del Pozzo prima e a Diana Pifferi poi. Questa mattina, invece, a cadere vittima di Elisa Roveda è stato il figlio di appena un anno, Luca. "Ho ucciso mio figlio”, queste le prime parole pronunciate dalla donna all’arrivo dei carabinieri. A dare l’allarme sarebbe stata la nonna del piccolo, che avrebbe chiamato i soccorsi. Troppo tardi, non c’era già più nulla da fare. Il bambino ha perso la vita perché sua madre lo ha strangolato. Al momento, quest'ultima si trova ricoverata nel reparto di psichiatria del Policlinico San Matteo e nelle prossime ore sarà verosimilmente sottoposta allo stato di fermo.

Cosa scatta nelle mente di una madre che strangola il proprio figlio?

Iniziamo con il dire che il raptus, termine abusato in ambito giornalistico, in psichiatria neppure esiste. Abbiamo a che fare con delitti che affondano le proprie radici molto più in profondità. Ci muoviamo nel terreno spinoso di quei sentimenti che degenerano piano piano.

Stando alle prime indiscrezioni, al momento dell’omicidio, la donna di Voghera si trovava sola in casa con il piccolo. Mentre il marito era uscito per recarsi a lavoro. La 45enne aveva già mostrato segni di disagio? Partorire un figlio non significa essere pronti ad amarlo e a prendersene cura.

Prima facevo cenno ai due figlicidi che hanno macchiato il 2022, quelli consumati da Martina Patti e Alessia Pifferi. Quel che è successo oggi in provincia di Pavia, però, non ha niente a che vedere con quei crimini. E la differenza non sta solamente nella qualificazione dell’atto in sé. Mi spiego. In questo caso si parla di infanticidio, e non di figlicidio, perché il bambino ucciso aveva un anno di età.

Il dato però che più differenzia questo episodio da quelli della scorsa estate è la ragione sottesa al crimine. Quando le madri uccidono i figli così piccoli quasi sempre sono attanagliati della depressione. Una depressione sviluppata dopo il parto o, peggio, aggravata proprio dopo la messa al mondo della creatura. Dunque, vi chiederete, possibile che se episodi come questi sono riconducibili a patologie in qualche modo conclamate, non è possibile evitarli?

La verità è che alcune patologie della mente, come le angosce, le ansie e le paure, possono essere gestite, anche quelle più accentuate che richiedono tempi più lunghi. Non può dirsi lo stesso per la depressione: può essere certo conosciuta, studiata nelle sue cause e nei suoi sintomi, ma può rivelarsi molto difficile da sconfiggere soprattutto se non viene affrontata correttamente.

C'è la depressione post-partum alla base dell'infanticidio di Voghera

In base a quanto riferito da suo padre, è stata la depressione a rubare la maternità alla mamma di Voghera. Quindi è verosimile credere che durante questo ultimo anno questa mamma sia stata pervasa da forti crisi e da sentimenti di angoscia dilaniante. Disagi rimasti inascoltati, in primo luogo proprio dalla donna stessa.

Viviamo infatti in una società nella quale è ancora un tabù confessare di aver bisogno di aiuto. In forza dello stereotipo fin troppo radicato per il quale se sei mamma devi essere per forza felice e naturalmente portata all’annullamento per la creatura messa al mondo.

In mezzo, però, c’è la realtà. Una realtà fatta di situazioni di profonda sofferenza che fin troppo di frequente sfociano in drammi come questo. E allora, per incoraggiare chi si trova in situazioni di disagio psicologico ed emotivo, è sempre bene ricordare che in Italia sono presenti consultori e strutture territoriali in grado di supportare le donne non solo durante la gravidanza, ma anche nella fase successiva.

L’ennesimo infanticidio consumatosi questa mattina, tuttavia, ci mette di fronte ad una triste realtà: alcuni drammi familiari emergono agli onori della cronaca quando ormai è troppo tardi. Dunque, se le difficoltà psicologiche della donna troveranno conferma, in questo caso è altamente probabile che la donna venga ritenuta incapace di intendere e di volere. E per questo non sottoposta a processo, come invece sta accadendo a Martina Patti e ad Alessia Pifferi.

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Dottoressa Anna Vagli, giurista, criminologa forense, giornalista- pubblicista, esperta in psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Certificata come esperta in neuroscienze applicate presso l’Harvard University. Direttore scientifico master in criminologia in partnership con Studio Cataldi e Formazione Giuridica
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