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Come funziona il salario minimo solo per Milano e perché sarebbe utile, spiegato a chi non è d’accordo

Il costo della vita a Milano cresce più che altrove. Un salario minimo per chi lavora nel capoluogo lombardo potrebbe essere una soluzione. Ecco come funzionerebbe e perché potrebbe essere utile.
A cura di Tomaso Greco
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A Milano gli stipendi non bastano. Nel capoluogo lombardo sempre più lavoratori hanno uno stipendio non adeguato al costo della vita. Se la situazione era difficile prima dell’ondata inflativa dell’ultimo anno, oggi è sensibilmente peggiorata: stando ai dati Istat, nell’ultimo anno i costi per l’abitazione a Milano sono cresciuti più del doppio della media nazionale (+4,6% contro il +2,1%), così come quelli per le spese sanitarie (+3% contro +1,6%). Ma Milano si posiziona oltre la media italiana anche per quanto riguarda l’incremento delle spese per le attività culturali e ricreative (+ 4,5% contro il +3,7% nazionale) e per i servizi ricettivi e di ristorazione (+8,9% contro il +6,8%). E gli stipendi di impiegati e operai, di poco al di sopra della media nazionale (rispettivamente +13% e +1% sulla media nazionale), sono sempre più erosi dal carovita.

Per questo con Adesso! abbiamo proposto un salario minimo milanese sul modello di quello di Londra, il London Living Wage. Non tanto perché il parallelo tra le due metropoli più care dei rispettivi Paesi è fin troppo immediato, ma perché riteniamo che sia uno strumento efficace, senza particolari costi per l’amministrazione e, soprattutto, immediato. Milano non è Londra, né il mercato del lavoro milanese assomiglia a quello londinese, ma se sul Tamigi in queste settimane ben 130.000 lavoratori hanno avuto un aumento grazie al salario minimo, perché non replicare l’esperimento sui Navigli?

Ecco come potrebbe funzionare: il Comune dovrebbe farsi promotore di una commissione indipendente con le parti sociali (sindacati e associazioni datoriali) e gli atenei che calcolerebbe lo stipendio minimo per vivere a Milano. Con la promessa di aggiornarlo su base annuale. Le aziende che decidono di aderire al salario minimo milanese, o se si preferisce al Milan Living Wage, otterrebbero una certificazione comunale, alla quale, come succede a Londra, potrebbero essere connesse diverse tipologie di incentivi.

Nella capitale del Regno Unito, dove il numero di aziende che aderiscono è in crescita, la spinta all’adesione è data dal forte ritorno reputazionale (sia nei confronti del pubblico sia per quanto riguarda l’attrazione del talento) e dall’impegno dell’amministrazione cittadina guidata dal laburista Sadiq Khan. A Milano si potrebbe mettere in campo un meccanismo che incentivi e premi le aziende aderenti in occasione dei molti eventi di portata internazionale che la città ospita, come le Week.

Il Living Wage milanese ha ottenuto l’interesse del professor Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro alla Bocconi e presidente di Afol metropolitana, che intervistato dal Corriere della Sera ha dichiarato "Mi sembra molto sensato. Potrebbe far parte del Patto per il lavoro. Ma attenzione: non può diventare una legge, deve rimanere a livello territoriale". Favorevole anche il professor Marco Leonardi, docente di economia politica alla Statale e già consigliere economico della Presidenza del Consiglio nei governi Renzi e Gentiloni, che però ritiene necessaria una legge.

La proposta divide invece la Giunta: favorevole l’assessore alla casa Pierfrancesco Maran e contraria l’assessora al lavoro Alessia Cappello. Mentre il sindaco Beppe Sala accoglie positivamente la sollecitazione della proposta e promette che si occuperà degli stipendi. Ma quella che si potrebbe leggere come una spaccatura insanabile sulla carta diventa ricomponibile entrando nel merito della proposta: le principali obiezioni dell’assessora Cappello, affidate a un’intervista al Corriere della Sera e ai propri social, si concentrano su elementi in realtà estranei alla proposta. Che non indebolisce infatti il ruolo dei sindacati (che, anzi, sarebbero protagonisti insieme alle associazioni datoriali della commissione indipendente) e non tocca in alcun modo le imposte comunali come la tassa sui rifiuti. Insomma quelle dell’assessora paiono essere legittime preoccupazioni e un contributo alla discussione più che una chiusura totale.

Del resto, la discussione è viva anche tra le parti sociali. In casa UIL si dichiara favorevole Michele Tamburrelli che commenta "mi pare che nella proposta di salario minimo milanese il ruolo dei sindacati sia contemplato. Così come non mi pare che il salario minimo milanese sia in alternativa alla contrattazione collettiva o che questa possa essere indebolita da una discussione su questo tema", mentre è scettico Enrico Vizza, che dichiara "siamo tutti d’accordo che la Lombardia e Milano necessitino di una attenzione particolare. Dimentichiamoci però Londra. Senza nessuna polemica ma in modo costruttivo è da tempo che sosteniamo che ci sono problemi di salari e disuguaglianze su tutto il territorio nazionale".

Se è contrario Marco Barbieri, Confcommercio, che punta il dito sul caro vita (e sulle misure insufficienti a contrastarlo) e attesta i contratti firmati dalla sua associazione al di sopra degli ipotetici salari minimi, arrivano invece aperture da partiti tradizionalmente su posizioni differenti in materia di lavoro. Azione per bocca del segretario Francesco Ascioti "sostiene convintamente la proposta in chiave nazionale e negare che il costo della vita a Milano sia totalmente diverso che nel resto dell’Italia significa non percepire la realtà dei fatti". "Le tesi volte a criticare il salario minimo – specifica Ascioti – non sono convincenti sul piano nazionale, ancora meno declinate sul nostro territorio".

Di avviso simile i Verdi, così i consiglieri comunali Francesca Cucchiara e Tommaso Gorini: "Oggi 9 euro lordi l'ora, cioè il salario minimo proposto a livello nazionale, non è sufficiente per vivere in una città come Milano. Abbiamo bisogno di strumenti aggiuntivi per imporre un minimo compatibile con il costo della vita a livello locale".

Mentre è notizia delle ultime ore il disegno di legge della Lega per riconoscere "ai lavoratori una somma differenziata in base al luogo in cui ha sede l’azienda, prevedendo per i datori di lavoro privati un credito d’imposta per coprire le spese sostenute". Tuttavia, lo strumento del credito d’imposta rischia di mettere a carico della collettività gli aumenti, oltre a essere difficilmente realizzabile (del resto: siamo pur sempre in prossimità delle elezioni europee).

Se tanto a destra quanto a sinistra si riconosce il problema del pessimo rapporto costo della vita/stipendi a Milano, quella del Salario minimo milanese è una proposta concreta sul piatto. Probabilmente l’unica. Spetta ai suoi detrattori proporre strumenti più efficaci e altrettanto immediati per risolvere almeno in parte il problema. Di certo, una soluzione serve e non è più rimandabile.

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Tomaso Greco è editore e co-fondatore di Adesso!, progetto di media activism e movimento di proposta
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