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“Al Cpr non ci fanno accedere alle cartelle cliniche dei nostri clienti”: la denuncia di un’avvocata

Al Cpr di via Corelli a Milano continuano a non essere rispettati i diritti dei trattenuti. Gli avvocati non riescono ad accedere alle cartelle cliniche dei loro assistiti e chi chiede di poter tornare nel suo Paese di origine, rinunciando a presentare ricorso per il diniego della protezione internazionale, viene comunque lasciato nel centro.
A cura di Ilaria Quattrone
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È ormai fatto noto che il Centro di permanenza per il rimpatrio di Milano è un luogo in cui i diritti non esistono. Fanpage.it da diversi mesi racconta le condizioni in cui sono costrette a vivere le persone trattenute all'interno della struttura. Cibo scadente, spesso con i vermi, materassi abbandonati in cortile, rivolte, atti di autolesionismo, tentativi di suicidio e abuso di psicofarmaci.

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A questo, si aggiungono le difficoltà affrontate dai legali che assistono chi finisce nel Cpr. Colloqui lampo che non permettono agli avvocati di poter conoscere i propri clienti e poter comprendere le loro situazioni, uomini accompagnati alle frontiere per essere espulsi prima ancora che qualsiasi giudice possa esprimersi e ora, così come raccontato da uno degli avvocati proprio a Fanpage.it, l'impossibilità di poter accedere alle cartelle cliniche.

Per gli avvocati è impossibile accedere alle cartelle cliniche

L'assistenza medica dei trattenuti è gestita sulla base di una convenzione stipulata tra la Prefettura, l'Agenzia di tutela della salute della città metropolitana e l'ente che gestisce il Cpr. La documentazione medica viene conservata dalla Prefettura. Nonostante questo però, per gli avvocati è impossibile accedervi: "La Prefettura non ha mai risposto a nessuna delle mail in cui ho richiesto l'accesso agli atti", spiega l'avvocata Simona Stefanelli.

Il caso del ragazzo che chiede di tornare nel suo Paese, ma gli viene impedito

Il disinteresse da parte delle persone trattenute nei Cpr da parte delle Istituzioni è lampante e non lo si registra solo nelle questioni mediche. La stessa legale racconta a Fanpage.it del caso di un ragazzo che chiede di poter tornare nel suo Paese di origine, ma nonostante questo continua a essere trattenuto nel Centro: "Questo ragazzo di origine albanese non ha mai commesso alcun reato. Nel suo Paese è stato minacciato di morte sulla base di quanto previsto dal Kanun, un codice non scritto albanese che prevede l'applicazione di regole di onore e di sangue. Arrivato in Italia ha fatto richiesta di protezione internazionale".

Il giovane è poi finito nel Centro di Permanenza per il rimpatrio perché è stato trovato senza permesso di soggiorno. All'interno della struttura, la commissione territoriale ha rigettato la sua richiesta di asilo. Il ragazzo avrebbe potuto presentare ricorso, ma ha scelto poi di rinunciarci: "Su consiglio dell'ufficio immigrazione del Cpr di Milano ho inviato una mail alla Questura per formalizzare la sua rinuncia all'azione. Il mio cliente vuole rientrare volontariamente nel suo Paese, ma questo gli viene impedito".

Il centro infatti ritiene che l'uomo debba rimanere in attesa per altri quindici giorni perché "l'espulsione non può essere eseguita in pendenza dei termini per il ricorso avverso al diniego di protezione internazionale, alla quale però il mio cliente ha espressamente rinunciato". Un'azione in netto contrasto con quanto solitamente viene assicurato ai trattenuti: "Solitamente la formalizzazione della rinuncia all'azione dovrebbe consentire il rimpatrio immediato. Nel caso di D.X. invece dovrà aspettare 15 giorni o forse di più".

La legge, come spiegato da Stefanelli, non prevede che in caso di rimpatrio volontario "per rinuncia all'azione giudiziaria si debba restare trattenuti. Il mio cliente piange ogni giorno perché vuole uscire dal Cpr. Si tratta di un'altra violazione dei diritti".

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