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Mario Mori assolto. Il generale era accusato della mancata cattura di Provenzano

L’ex direttore del Sisde era accusato dalla Procura di avere coperto il boss di Corleone, sulla base di un accordo nato durante la presunta trattativa Stato-mafia del ’92-’93. Come lui, assolto pure il colonnello Mauro Obinu. All’assoluzione, c’è chi grida con forza: “Vergogna”.
A cura di Biagio Chiariello
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Il Tribunale di Palermo ha assolto il generale dei carabinieri Mario Mori. Nei confronti dell'ex ufficiale simbolo del Ros ed ex direttore del Sisde, la Procura della Repubblica aveva chiesto una condanna esemplare: 9 anni di carcere, "per aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano". Ma la Quarta sezione del tribunale non ha accolto questa richiesta, così come per il colonnello Mauro Obinu, pure lui imputato per favoreggiamento aggravato dall'agevolazione a Cosa nostra. La formula utilizzata dai giudici è stata quella della piena assoluzione: "Il fatto non costituisce reato". Dopo l'assoluzione, i giudici di Palermo hanno trasmesso gli atti alla Procura perché valuti le posizioni dei principali accusatori di Mori: Massimo Ciancimino e Michele Riccio.

All'assoluzione, c'è chi grida con forza: "Vergogna" – "Siamo amareggiati. Adesso si tratta di capire i punti di vista di chi, come il Tribunale, ha analizzato le carte. In tutti i processi si può vincere e si può perdere ma sono importanti le motivazioni", è il commento della pubblica accusa, il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi ".Una sentenza che pone fine a cinque anni di massacro mediatico, che rende onore a delle persone per bene che hanno sempre fatto il loro dovere. Una sentenza che fa anche giustizia delle calunnie che gli hanno rivolto". Lo ha detto l'avvocato Basilio Milo, uno dei legali del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, subito dopo l'assoluzione dei due imputati. Subito dopo la sentenza di assoluzione, tra il pubblico qualcuno ha esclamato con forza: "Vergogna!". Oltre ai giornalisti, in Tribunale c'era un gruppo di appartenenti del cosiddetto ‘popolo delle agende rossè di Salvatore Borsellino.

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