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Opinioni

Le ricette per uscire dalla crisi

Project bond per investire in infrastrutture europee e rilanciare la crescita, in cambio di riforme strutturali. Potrebbe essere la soluzione alla crisi europea per evitare nuovi pericolosi avvitamenti verso il basso.
A cura di Luca Spoldi
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Merkel Monti

La ricetta tedesca va capita per non produrre altri danni. L’Europa che guarda attonita all’andamento degli spread rischia un pesante deficit di democrazia, se la “ricette tedesca” non verrà correttamente coniugata per tener conto delle molteplici realtà di una crisi che ha origini diverse da paese a paese e che dovrà avere soluzioni diverse nei modi e nei tempi per garantire una futura convergenza economica e una maggiore integrazione politica dell’Europa, pena il rischio concreto di un fallimento del progetto di una valuta unica e di uno spazio economico comune, nonché una deriva pericolosamente nazionalista che si nota già in Grecia e in Francia. Sul fatto che l’ossessione di raggiungere in tempi brevi una supposta “virtù” fiscale a colpi di incrementi delle entrate fiscali, ma pure di tagli alle spese “sotto le bombe” (ossia a fronte di una recessione che,  con l’annuncio odierno dei dati del Pil Spagnolo del primo trimestre, in calo dello 0,3% così come accaduto nei tre mesi precedenti, vede ormai dodici paesi in crisi, dalla disastrata Grecia ormai al collasso, a Belgio, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Olanda, Irlanda, Portogallo, Slovenia e Regno Unito, oltre naturalmente all’Italia) di una crisi patrimoniale (contemporaneamente finanziaria e di debito, ergo con pesanti ricadute sull’economia reale) possa far deragliare definitivamente lo sviluppo economico del vecchio continente e che le stesse manovre di austerity siano “self defeating” (ossia è autolesionistiche, inducendo un crollo del Pil che causa minori entrate fiscali, vanifica gli sforzi fatti e rischia di richiedere ulteriori manovre “correttive”).  L’Irlanda e la Spagna sono entrate in crisi per lo scoppio di una “bolla” immobiliare, il Portogallo (e in parte l’Italia) per un tasso di crescita troppo modesto e una eccessiva dipendenza della propria economia dall’andamento dell’economia spagnola, la Grecia per l’emergere di scandali contabili e per un’economia arretrata e che ha poche possibilità di crescere. In tutti questi casi la sola austerità non fa crescere l’economia come Monti ha ammesso la scorsa settimana e come efficacemente ha ricordato l’amico Mario Seminerio durante un panel organizzato nell’ambito del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.

Cosa fare. Se l’urgenza e l’emergenza di varare manovre di consolidamento fiscale a novembre hanno portato in Italia ad un aumento brutale della pressione fiscale, a medio termine è necessario procedere ad un taglio della spesa ma attenzione: non della spesa in conto capitale, come ha purtroppo deciso di fare il premier spagnolo, Mariano Rajoy, in quanto è questa tipologia di spesa che se ben gestita può creare le condizioni per tornare a veder crescere l’economia di un paese. La spesa da tagliare è la spesa improduttiva, la spesa corrente, la spesa che non produce nuovi investimenti e nuova ricchezza ma si limita a redistribuire la ricchezza esistente (prelevata dalle tasche di alcuni attraverso il fisco e reindirizzata nelle tasche di altri attraverso l’erogazione di stipendi, pensioni, bonus fiscali e quant’altro). Servono naturalmente tempi necessariamente medio-lunghi per simili riforme e servono naturalmente capitali importanti per investimenti pubblici di spesa che rilancino gli investimenti (come peraltro auspicato già alcune settimane or sono da dodici premier europei), per questo si sta facendo (finalmente) strada l’idea che dei project bond, o degli euro bill o altre forme di mutualizzazione del debito possano essere effettivamente “concesse” dalla Germania in cambio di garanzie che le riforme si facciano sul serio e non si torni ad una situazione ex ante come quella che in Italia ha visto negli ultimi 15 anni alternarsi governi a guida Prodi (due volte), D’Alema (due esecutivi), Berlusconi (tre volte) e Amato senza che alcuna riforma venisse introdotta e con pesanti limiti e condizionamenti subito scattatati da parte di quelle stesse forze politiche che finora hanno (mal)governato l’Italia e che a novembre hanno passato la “patata bollente” al governo di Mario Monti, sostenendolo ma anche condizionandone i provvedimenti in Parlamento, come è apparso chiaro con la triste vicenda delle mancate “liberalizzazioni” di ordini professionali, tassisti, farmacie, banche e assicurazioni e ancor più con la vicenda, che ormai sfiora il ridicolo, del taglio dei costi della politica, di cui tutti si riempiono la bocca ma di fatto sistematicamente bloccata tanto che ancora in questi giorni il presidente della Bce, Mario Draghi, ha dovuto sollecitare l’accorpamento delle Province, che in origine avrebbero dovuto essere soppresse, come misura per iniziare realmente a incidere in una spesa totalmente inutile ma assai cara a tutte le forze politiche italiane.

Il contributo delle banche. Ripartire nell’immediato è un’utopia, evitare ulteriori pericolosi avvitamenti è già un compito difficile ma non impossibile se si vareranno riforme a favore di una maggiore liberalizzazione dell’economia e di un taglio della spesa improduttiva, accompagnata da una serie di progetti europei per creare nuove e realmente utili infrastrutture finanziate da bond europei o in project financing coi maggiori gruppi privati. Quello che occorre fare è chiaro, non è chiaro se l’Europa e l’Italia (che quando si tratta di investire fondi europei e realizzare infrastrutture utili ha una lunga storia di ritardi, scandali e corruttele varie, per non dire della endemica tendenza a contestare ogni opera, molte volte giustamente ritenute superate come il ponte sullo stretto di Messina) sapranno adottare le necessarie decisioni. L’alternativa non è neppure da prendere in considerazione dati gli elevati costi economici e sociali che comporterebbe. Un ulteriore problema resta lo stato di salute del settore bancario e l’eventuale contributo che esso, paese per paese, sarebbe in grado di dare alla ripresa: in realtà se non fosse stato per le due LTRO varate dalla Bce tra dicembre e febbraio molte banche europee sarebbero già fallite (o nazionalizzate), ma per quanto mille e più miliardi di euro possano sembrare una cifra gigantesca buona parte dei fondi sono stati utilizzati (specialmente dalle banche spagnole e italiane) sia per sostituire la raccolta ordinaria (ossia effettuata emettendo obbligazioni) per il 2012 e parte del 2013, sia per acquistare nuovi titoli di stato (banche spagnole hanno acquistato in marzo 20 miliardi di euro netti di titoli di stato del proprio sovrano; nello stesso periodo le banche italiane sono state acquirenti nette di titoli di stato del Tesoro italiano per la cifra record di 23,7 miliardi). In questo modo se da un lato si è evitato l’ulteriore avvitamento della crisi patrimoniale vista sui mercati fino a novembre scorso, dall’altro (tanto più se l’Eba dovesse pretendere un’aderenza rigorosa e senza eccezioni alle norme di capitalizzazione decise alcuni mesi or sono e che certo non favoriscono gli istituti italiani rispetto a situazioni analogamente gravi ma meno sanzionate di istituti francesi e tedeschi), dall’altro non è rimasto molto da spendere per l’attività ordinaria, che infatti sta rallentando continuamente (i crediti ai privati a marzo nell’Eurozona sono aumentati dello 0,6%, in ulteriore calo rispetto al già misero +0,8% di febbraio). Proseguendo in parallelo il deleveraging del settore privato (ma anche pubblico) e stante la stratta fiscale in atto, sperare in un aiuto da un sistema sempre più pericolosamente banco-centrico se non si arriverà a misure di mutualizzazione del rischio e del debito a livello europeo è purtroppo un’utopia. A maggior ragione dobbiamo augurarci che le riforme e un via libera tedesco a forme di solidarietà come sopra auspicato avvengano e avvengano in tempi rapidi.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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