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La mafia di Siracusa e Avola: non solo droga, i clan impongono ai pub carne equina

Bombe carta contro i negozi e auto incendiate: il racket della criminalità organizzata siciliana non si “accontenta” di pizzo e cocaina.
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A cura di Danilo Massa
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La mafia è viva e continua a prosperare. A un mese dalla morte di Totò Riina, l'inchiesta di "Italian Leaks", format diretto dal giornalista Sandro Ruotolo per Fanpage.it, accende i riflettori sulla criminalità di Avola e Siracusa. La mafia di oggi non è identica a quella del "Capo dei capi", ma come questa anche lei vive di intimidazioni, bombe, collusioni politiche e denaro, che entra "sporco" nelle casse dei clan ed esce "pulito" quando reinvestito in attività legali. Dallo spaccio di droga al racket della carne equina, ecco gli affari della malavita organizzata di una parte della Sicilia.

Lo spaccio a Siracusa

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Il traffico della cocaina ricalca in parte il modello di Napoli, con piazze di spaccio riconoscibili e vedette. I luoghi in cui la cocaina viene distribuita al dettaglio sono principalmente quattro: il Bronx, via Algeri, via Italia e La Tonnara. Di questo business vivono circa 7-800 famiglie, dai capi della piazza che intascano circa 7-8.000 euro al giorno, agli spacciatori, pagati circa 500 euro a settimana. Oltre a loro, anche i corrieri, che, per 1.000 euro a viaggio, portano la droga a Siracusa da Palermo e dalla Calabria. Nell'appostamento di Fanpage.it, si nota l'efficienza del sistema di controllo: dopo poco tempo i pusher si allontanano e l'auto viene segnalata attraverso la traiettoria degli scooter.

Rosario Piccione, ex ragioniere del clan Bottaro-Attanasio tra il 1997 e il 2002 e oggi collaboratore di giustizia, spiega come funzionava il flusso di denaro. Dal 25 al 30 del mese venivano incassati i proventi e tra l'1 e il 5 venivano distribuiti gli "stipendi" per affiliati e parenti degli affiliati, in alcuni casi anche attraverso bonifici ordinati da una società fittizia.

Il business della carne equina

Non solo polvere bianca, ma anche carne. Secondo gli investigatori dalla macelleria di Luciano De Carolis, elemento di spicco del clan Bottaro-Attanasio, si impone il racket delle carni ai "paninari", che frutterebbe 5-6.000 euro al giorno. I pub sono costretti, secondo l'accusa, ad acquistare carne equina da usare come companatico. Viceversa i proprietari diventano vittime di violenze a base di bombe carta contro i negozi.

Il racket e le violenze

Il "pizzo" richiesto è generalmente basso per evitare che i negozianti siano incentivati a fare ricorso alla giustizia. Come spiega Paolo Caligiore, coordinatore dell'Associazione antiracket di Siracusa, "hanno abbassato i prezzi, le cifre che chiedono sono basse: 200 euro e faccio i conti che ce la posso fare e non mi creo problemi", ma, prosegue Caligiore, "se in quella strada pagano tutti, la mafia ha vinto".

Se il prezzo basso non basta a convincere i negozianti, al resto ci pensano le intimidazioni. In pochi mesi si sono contati ben 12 attentati, a cui bisogna aggiungere anche l'azione incendiaria contro l'auto del sindaco, Giancarlo Garozzo, che proprio due giorni prima del fatto aveva lanciato l'appello ai negozianti di denunciare. Nel "mirino" della criminalità ci sono politici, negozianti e anche giornalisti. È il caso di Paolo Borrometi, direttore di laSpia.it, minacciato dai clan di Vittoria, Avola e Siracusa. Tra le tante intimidazione quella di Francesco De Carolis, fratello di Luciano, che, intercettato, assicura: "Pezzo di merda, appena rivedo la faccia di mio fratello su un articolo tuo, ti vengo a cercare fino a casa e ti massacro e poi mi denunci co' ‘sta minchia [perché] con le mani non c'è il carcere". L'uomo, a seguito delle minacce, è stato arrestato per tentata violenza privata aggravata con il metodo mafioso.

Alle intimidazioni e alla strategica misura nelle pretese economiche dei clan si aggiunge un ulteriore problema. Secondo Carmelo Petralia, Procuratore aggiunto di Catania, "riuscire a fare indagini sulle presenze mafiose è un lavoro estremamente difficile. Ci scontriamo con un fenomeno culturale che si è radicato in brevissimo tempo".

Le attività legali del boss di Avola

Arrestato, Michele Crapula, boss di Avola, continuerebbe ad esercitare il suo potere attraverso la famiglia. Sotto la lente delle autorità l'origine dei proventi che hanno portato i tre figli del boss a possedere imprese apparentemente legali. La primogenita Desiré è proprietaria di un'azienda di pompe funebri e di un negozio di fiori di fronte al cimitero; il secondogenito Rosario possiede un magazzino in cui raccoglie i limoni da scarto da inviare poi a Palermo dove gli agrumi vengono trasformati in essenze. Il terzo figlio, Cristian Crapula, è proprietario del Waikiki Bar, che sorge in una delle parti più belle del lungomare di Avola. Proprio Cristian è protagonista l'11 giugno del 2017, durante le amministrative comunali, di un endorsement a Salvatore Guastella, di Primavera Italia. Eletto consigliere nella maggioranza comunale, Guastella incontra l'amico Innocenzo Buscemi, appena scarcerato e accoglie le telecamere di Fanpage.it in presenza dello stesso avvocato che fa gli interessi del boss Luciano Crapula.

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