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Totò Riina è morto, la mafia no

“Non perdono Riina”, parla il padre di Giuseppe Di Matteo, il bimbo sciolto nell’acido

Dopo oltre 25 mesi di sequestro, il piccolo Di Matteo viene strangolato e il suo corpo sciolto nell’acido. Accadeva nel 1996 per “punire” Santino di essere diventato collaboratore di giustizia.
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A cura di Danilo Massa
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Giuseppe Di Matteo.
Giuseppe Di Matteo.
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Santino Di Matteo era collaboratore di giustizia quando il pomeriggio del 23 novembre 1993 viene rapito suo figlio Giuseppe. Santino aveva avuto un ruolo importante nella Strage di Capaci e grazie alle sue dichiarazioni lo Stato infligge un duro colpo alla mafia. Ma il suo "pentimento" è costato la vita al figlio Giuseppe, rapito all'età di 12 anni e ucciso per strangolamento l'11 gennaio 1996 a 15 anni. Il suo corpo verrà sciolto in una vasca colma di acido nitrico.

Per il sequestro e l'omicidio di Giuseppe verranno condannati all'ergastolo circa 100 mafiosi, tra cui Giovanni Brusca, Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Francesco Giuliano e Cesare Spatuzza. Mandante fu Totò Riina, la cui morte – avvenuta oggi nell'ospedale di Parma – non cancella il dolore procurato a centinaia di famiglie. Tantomeno a quello di Santino Di Matteo, padre di Giuseppe che ai microfoni di Fanpage.it conferma che "non prova pietà per la morte del ‘Capo dei capi': non lo posso perdonare perché ha ucciso mio figlio". E avverte: "Salvatore Riina è morto, ma la Mafia no".

Il sequestro e l'uccisione di Giuseppe Di Matteo

Giuseppe Di Matteo aveva 12 anni quando, aprendo a quelli che pensava essere agenti della DIA, pensava finalmente di poter rivedere il papà ("Papà mio, amore mio", dice il piccolo secondo il racconto del pentito Gaspare Spatuzza). Seguono 779 giorni di sequestro, di cui 180 nella stessa casa. Poi l'esecuzione per strangolamento e lo scioglimento nell'acido nitrico. Giuseppe aveva 12 anni quando fu rapito ed è stato ucciso otto giorni prima del suo quindicesimo compleanno.

L'ipotesi scarcerazione per Riina

Quando a giugno lo stato di salute sempre più precario di Salvatore Riina aveva portato la Corte di Cassazione ad aprire alla possibilità di una detenzione domiciliare, tra le tante voci che si opposero a questa eventualità si levò anche quella di Giuseppe Di Matteo. "Deve morire in carcere", ribadì ancora una volta al giornalista Sandro Ruotolo, spiegando in quell'occasione che, saputo del rapimento del figlio, lasciò la località protetta e lo andò a cercare in prima persona con Balduccio Di Maggio e Giocchino La Barbera. "Quello che mi manda il sangue in ebollizione è che io ero a due passi – riferisce ancora Di Matteo – e potevo salvare ‘sto ragazzino". Eppure, ricorda ancora il padre di Giuseppe, "mio figlio ha ucciso la Mafia, perché dopo la sua morte si sono scoperchiate tante pentole".

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