Tutte le teorie del complotto su Mamdani, il candidato sindaco di New York per il Partito Democratico

Nelle ultime settimane che precedono le elezioni per il sindaco di New York, Zohran Mamdani, 34 anni, ha dovuto affrontare una lunga serie di attacchi incentrati sulle sue origini. Il candidato democratico è un musulmano sciita di origine indiana nato in Uganda e, secondo i suoi nemici, starebbe architettando un piano segreto per imporre la Sharia, la legge islamica. L'investitore della Silicon Valley Shaun Maguire ha accusato Mamdani di portare avanti un "programma islamista".
La deputata repubblicana Marjorie Taylor Greene ha pubblicato sui social media un'immagine della Statua della Libertà con un burqa nero. Secondo l'opinionista di estrema destra Laura Loomer, invece, il candidato avrebbe scelto deliberatamente di diventare cittadino statunitense nel 2018, in occasione dell'anniversario della pubblicazione da parte di Hezbollah di un manifesto del 1985 che invocava la distruzione di Israele.
Ora, Mamdani non ha mai parlato di imporre la Sharia, la campagna del candidato si è concentrata su politiche progressiste, tra queste trasformare New York in una “città santuario LGBTQIA+” e la riallocazione dei fondi verso programmi di sicurezza comunitaria e iniziative di supporto sociale. Non esattamente idee politiche vicine ai Fratelli Musulmani.
Le accuse e le teorie islamofobe contro Mamdani
Con l’inizio delle votazioni anticipate previsto per il 2 novembre e la giornata elettorale fissata per il 4, gli ultimi giorni di campagna a New York saranno decisivi, e le teorie islamofobe contro Mamdani potrebbero avere un peso determinante sull’esito finale. Secondo il candidato democratico, l'obiettivo dei suoi rivali è dipingerlo come lo "straniero pericoloso per la città".
Questa strategia è stata adottata da molti. La deputata repubblicana Elise Stefanik ha definito Mamdani un “jihadista”, Curtis Sliwa, candidato repubblicano, lo ha accusato di sostenere la “jihad globale”. Il principale rivale, l’ex governatore Andrew Cuomo, ha pubblicato — e poi rimosso — un video generato con intelligenza artificiale contro Mamdani. Nel filmato, il candidato democratico mangia il riso con le mani — un gesto tradizionale in molte comunità sud-asiatiche, ma presentato in chiave offensiva — e accanto a lui un uomo con il kaffiyeh, simbolo della resistenza palestinese, ruba oggetti da un negozio.
L'ultimo attacco arriva dal rappresentante repubblicano Andy Ogles, che su X ha scritto: "Quest'uomo è venuto in America per un solo motivo: trasformare l'America in una teocrazia islamica. Dico NO alla legge della Sharia, ed è per questo che ho presentato una tesi per far rimpatriare Mamdani in Uganda, basandomi su informazioni che ha chiaramente nascosto".
La reazione di Zohran Mamdani
Mamdani ha condannato con forza la strumentalizzazione della sua fede, chiedendo un ritorno a un dialogo civile e rispettoso. Davanti alla moschea dell’Islamic Cultural Center nel Bronx, ha sottolineato come, in città, alcune forme di odio vengano ancora tollerate. Ha anche condiviso episodi personali e familiari legati alla discriminazione anti-musulmana: una zia che, dopo l’11 settembre, smise di prendere la metropolitana per paura di indossare il hijab, e un zio musulmano che gli consigliò di nascondere la propria fede all’inizio della carriera politica.
Il messaggio politico di Mamdani è chiaro: ha sottolineato la sua identità e la sua determinazione a non lasciare che la fede venga strumentalizzata contro di lui. “Sarò un uomo musulmano a New York ogni giorno, fino al voto e oltre. Non cambierò chi sono, come mangio o la mia fede.”
Un dibattito più ampio sul clima politico e sociale
Le accuse sfruttano il pregiudizio anti-musulmano che negli Stati Uniti persiste in diverse forme dall'attentato dell'11 settembre 2001 che ha distrutto le Torri Gemelle. La polizia di New York City ha gestito in passato un programma di sorveglianza sui musulmani, ormai chiuso. Sul piano nazionale, decine di Stati hanno introdotto leggi mirate a vietare l’applicazione della Sharia. "In sostanza, la retorica anti-musulmana è sempre la stessa: i musulmani non appartengono a questo Paese, sono stranieri per sempre, rappresentano una minaccia per la società e il governo americani", ha spiegato Eman Abdelhadi, sociologo dell'Università di Chicago, ad AP News.
Con la guerra e il massacro a Gaza, islamofobia e antisemitismo sono tornati al centro del dibattito, diventando temi caldi anche nella corsa a sindaco di New York, città che ospita le più grandi comunità ebraica e musulmana degli Stati Uniti. In un contesto politico segnato da accuse infondate e retoriche divisive, la campagna di Mamdani non è solo una sfida elettorale: diventa un test sul tipo di città che New York vuole diventare.