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Qual è il ruolo dei social nella morte di Thiago Elar, il ragazzo che raccontava l’anoressia nei suoi video

Thiago Elar aveva 27 anni. Soffriva di un disturbo dell’alimentazione e da tempo condivideva video sulla sua storia, soprattutto su TikTok. È il morto 21 luglio. Sui social era seguito da 140.000 follower. Abbiamo chiesto alla psicologo Giuseppe Lavenia e alla social media strategist Serena Mazzini qual è stato il ruolo delle piattaforme nella sua storia.
A cura di Valerio Berra
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La notizia della morte di Thiago Elar è iniziata a circolare la sera del 21 luglio. Prima è spuntato uno screenshot da un sito di necrologi, poi sono arrivati video dai profili che commentavano la sua vicenda. Questa mattina la conferma, arrivata anche a fonti sentite da Fanpage.it. Thiago Elar è morto a 27 anni per cause naturali. I funerali sono previsti per domani.

Thiago era un nome molto noto su TikTok. Era seguito da oltre 140.000 follower e sul suo profilo aveva video da milioni di visualizzazioni. Tutti molto simili. Si riprendeva mentre era sul letto della sua clinica dove era ricoverato. Raccontava la sua storia, il suo disturbo alimentare, il rapporto con la sua famiglia.

Non è noto cosa fosse vero e cosa no. L’unico dato è che Thiago, ragazzo transgender, appariva con il volto sempre più scavato. Il suo non è l’unico caso. Su TikTok si può trovare un lungo elenco di profili in cui ragazzi e ragazze con disturbi dell’alimentazione raccontano la loro malattia. I video sono spesso virali. Attirano visualizzazioni, generano interazioni.

Il ruolo del racconto sui social

Non sappiamo cosa sarebbe successo a Thiago senza i social. Abbiamo visto solo quello che è successo con i social. Anche se Thiago aveva bloccato i commenti sotto i suoi video, le sue clip sono state riprese e commentate. Sono stati creati contenuti secondari, meme e critiche. Non solo. Qualcuno ha provato anche a chiamare la clinica, a entrare in relazione con lui, a scrivergli in privato per poi rivelare al pubblico di aver avuto un contatto con lui.

Spiega a Fanpage.it lo psicologo Giuseppe Lavenia: “I social non sono uno spazio neutro: premiano l’esposizione, non la guarigione. E spesso ciò che per qualcuno è testimonianza, per altri può diventare identificazione, normalizzazione del dolore o addirittura attrazione verso modelli distruttivi". Queste malattie hanno bisogno di esperti per essere affrontate. Non basta un video: “I giovani hanno bisogno di comprendere che esprimere il proprio disagio è fondamentale, ma che la cura passa da relazioni vere, da professionisti, da luoghi sicuri, non solo da follower o visualizzazioni”.

Quali sono gli effetti sugli utenti

Questi video riguardano soprattutto TikTok, Instagram e YouTube, le altre piattaforme dedicate ai video brevi, hanno altri problemi ma sembra che questi contenuti attecchiscano meno. In Italia TikTok ha cominciato a muoversi nel 2019 ma è con il Covid che è esploso. Ne abbiamo parlato con Serena Mazzini, social media strategist e docente: “I contenuti legati alla malattia o alla morte ottengono sempre molta visibilità. Secondo me durante il Covid la piattaforma ha compreso come gli utenti siano affascinati da questi contenuti pietistici che innescano una dinamica ricattatoria, almeno dal punto di vista emotivo”.

Mazzini è autrice del Lato Oscuro dei Social Network (Rizzoli, 2025). Per questo libro ha provato più volte a creare profili finti sui social per vedere che video venivano proposti dall’algoritmo di raccomandazione: “Ho creato degli account fingendomi una ragazza di 16 anni che cercava consigli per la dieta. Con qualsiasi parola chiave si finiva davanti a video come quelli di Thiago”.

Questa esposizione crea anche un meccanismo di emulazione: “Il problema è che la malattia diventa un lifestyle desiderabile. Ho parlato con diversi psichiatri. Raccontano di adolescenti che vanno in clinica, chiedono il sondino da attaccare al naso per poi fare i video davanti allo smartphone. In Italia ci sono profili ancora più grossi di quelli di Thiago”.

Il rischio non è solo per gli utenti, anche chi c’è dietro ai video può finire intrappolato dentro un meccanismo più complesso: “Un soggetto come Thiago o come le altre ragazze che hanno profili del genere soffre di disturbi egosintonici: si rinforzano più sono visti dagli altri. Con questo algoritmo rimangono intrappolati nella loro malattia”.

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