Perché GTA 6 è stato rinviato di nuovo: gli sviluppatori hanno più di un problema

Tutto il mondo sta parlando del rinvio del videogioco GTA 6. Anche pagine non prettamente videoludiche. Del resto, parliamo del titolo più atteso di questa generazione, in arrivo il 19 novembre 2026. Al contrario, molta meno eco sta avendo lo sciopero da parte di sviluppatori e sviluppatrici di Rockstar Games, riunitisi lo scorso 6 ottobre davanti agli uffici della sede a Edimburgo. La motivazione dietro questa scelta è il licenziamento di 30 persone, avvenuto il 30 ottobre 2025. “La settimana scorsa abbiamo preso provvedimenti contro un piccolo numero di individui sorpresi a distribuire e discutere informazioni riservate in un forum pubblico, in violazione delle politiche della nostra azienda”, ha dichiarato un portavoce di Rockstar a Bloomberg in un comunicato.
La realtà dei fatti, secondo le persone in sciopero, è però ben diversa. Alex Marshall, presidente del sindacato l’IWGB (Independent Workers Union of Great Britain), ha affermato che il licenziamento sia legato alle attività sindacali dei dipendenti. “Hanno paura che i lavoratori, che si impegnano duramente, discutano privatamente dell’esercizio dei loro diritti per un ambiente di lavoro più equo e per una voce collettiva”, ha detto Marshall a BBC. “La dirigenza sta dimostrando di non preoccuparsi dei ritardi nello sviluppo di GTA 6 e che sta dando priorità alla repressione sindacale prendendo di mira proprio le persone che realizzano il gioco”.
Anche a Londra si sciopera, sotto gli uffici londinesi di Take-Two, la compagnia madre che gestisce anche Rockstar Games. “Hanno licenziato senza un motivo specifico se non quello di silenziare e terrorizzare i dipendenti dello staff”, afferma sui suoi account social IWGB e UTAW (United Tech & Allied Workers). I sindacati britannici rifiutano l’accusa di divulgazione di informazioni riservate da parte dell'azienda.
Le condizioni di lavoro negli studi videoludici
Il settore del gaming, nonostante l’attuale crisi, è tra i più remunerativi dell’industria dell’intrattenimento. Secondo fonti quali BCG, Newzoo e Gamesmarket, il fatturato globale del 2025 si aggira intorno ai 200 miliardi di dollari. Intanto i mondi virtuali delle uscite più recenti appaiono sempre più incredibili e immersivi. Dietro a questo velo patinato si nascondono tuttavia dinamiche professionali tossiche. In primis c’è il crunch, la bestia nera del settore. Con questo termine ci si riferisce ai ritmi massacranti a cui sono costretti gli sviluppatori per uscire secondo la data prestabilita.
Rockstar è abbastanza nota per le sue fasi di crunch: in occasione di Red Dead Redemption 2, il co-fondatore dello studio Dan Houser aveva dichiarato con nonchalance che il team di sviluppo aveva lavorato 100 ore settimanali per consentire l’uscita del titolo a ottobre 2018. Lo stesso è avvenuto nel 2020 in CD Projekt RED, lo studio polacco di Cyberpunk 2077. Non a caso, il suo lancio è stato tra i più disastrosi nella storia del videogame, tra richieste di rimborso ed eliminazione dagli store delle piattaforme.
Nel gioco, molte persone hanno notato una piazza di Night City chiamata “Crunch Plaza”. Un messaggio nascosto da parte degli sviluppatori. Non una novità: delle condizioni di lavoro devastanti negli studi di sviluppo ne parlava già nel 2017 il giornalista Jason Schreier nel libro Blood, Sweat, and Pixels.

Al crunch si aggiungono le molestie. Emblematico il caso di Activision-Blizzard nel 2021, che ha portato al licenziamento del CEO, Bobby Kotick, e di altri esponenti di spicco come Alex Afriasabi. Di quel caso, occorre menzionare la Cosby Suite, una stanza d’albergo dedicata all’attore de I Robinson accusato di abusi sessuali, più altre pratiche volte a sessualizzare e umiliare le dipendenti. Molte sono cadute in depressione. Una è arrivata al suicidio. Quella di Activion-Blizzard non è un’eccezione: anche Riot Games di League of Legends e sviluppatori indipendenti alla Game Developers Conference 2022 sono finiti sotto i riflettori per molestie e condotte misogine.
Ci sono poi gli accordi di non divulgazione – i cosiddetti NDA – che i dipendenti devono firmare, i quali però ostacolano il confronto tra sviluppatori. “[Gli NDA] vengono usati a tutti i livelli del settore, creando una cultura del segreto che rende quasi impossibile indagare sulle condizioni di lavoro”, ha spiegato a BBC Paolo Ruffino, docente di Digital Curation and Computational Creativity al King’s College di Londra. “La vera domanda è se questi licenziamenti riguardino davvero la diffusione di informazioni riservate o invece attività sindacali protette — una distinzione che la legge britannica sul lavoro richiede, ma che le accuse legate agli NDA rendono difficile dimostrare”.
Quella dei sindacati del settore videoludico è una storia recente. Il primo gruppo attivo negli Usa, Game Workers Unite e del Communications Workers of America, è stato fondato solo a inizio nel 2020. In Europa la situazione è lievemente diversa, grazie a una maggiore sensibilità nei confronti dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Ciò non cambia che le condizioni di lavoro all’interno degli studi di sviluppo siano da migliorare per il benessere di chi crea videogiochi, ma anche di chi ne fruisce. Altrimenti il rischio è quello di ritrovarsi un altro Cyberpunk 2077.