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I videogiochi sono in crisi? Cosa sta succedendo nell’industria dopo i licenziamenti di massa

Non si ferma la scia di licenziamenti che ha investito il settore videoludico dopo la pandemia. A questo si aggiunge un processo di sviluppo poco sostenibile a livello di costi e tempistiche, e non solo. Un vero e proprio periodo di crisi per i videogiochi.
A cura di Lorena Rao
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Il 28 febbraio scorso, Sony ha annunciato il licenziamento di 900 persone. Una decisione che ha colpito i team di The Last of Us, Horizon e Marvel’s Spider-Man, e che ha portato alla chiusura di London Studio. Non si tratta di un’eccezione del 2024, ma di una tendenza iniziata nel 2022 col post-pandemia, acuitasi nel 2023. A settembre dell’anno scorso, Epic Games, l’azienda dietro Fortnite e il motore grafico Unreal Engine, ha licenziato circa 830 persone, più o meno il 16% della sua forza lavoro. A giugno, Niantic, la casa di Pokémon GO, ha licenziato 230 dipendenti dagli studi californiani. Quanto a Microsoft, sempre nel 2023, ha rinunciato a 10.000 dipendenti, circa il 5% della sua forza lavoro.

I tagli del personale si ripercuotono anche sui progetti. Nel 2023 sono stati cancellati decine di giochi già annunciati, come Hyenas e Evil Dead: The Game. Altri già rilasciati hanno chiuso i loro server come Dreams e Knockout City. In altre parole, il settore videoludico si trova in grave periodo di crisi. Per gli addetti ai lavori, la scia di licenziamenti e cancellazioni coinvolgerà anche il 2024, ma non è solo questo a rendere critico il panorama videoludico odierno.

I motivi dietro la crisi dei videogame

Tolta la crisi del 1984 scaturita dal fallimento di Atari, che ha riguardato tra l'altro solo il mercato statunitense, l’industria videoludica ha visto nei decenni una crescita costante. Nel 2020, con la diffusione del Covid-19 e le politiche di isolamento adottate dai Paesi per contenere i contagi, il gaming ha visto un boom senza precedenti, a differenza di altri settori colpiti invece in negativo. Questo perché, con la gente chiusa in casa senza possibilità di interazioni sociali, i videogiochi si sono dimostrati un ottimo strumento di socialità e intrattenimento anche per un pubblico generalista.

Una situazione eccezionale, che ha portato al finanziamento di grandi progetti e all’espansione di molti studi di sviluppo. Eppure, col ritorno alla normalità nel 2022, gli investimenti fatti durante la pandemia si sono rivelati controproducenti, data la diminuzione del pubblico e degli acquisti. Da qui il fallimento di diverse software house e titoli, nonché licenziamenti coatti, per rientrare con le spese. “La compagnia ha speso molto di più rispetto a quanto guadagna”, ha affermato Tim Sweeney, Ceo di Epic Games, in occasione dei licenziamenti. Una frase che ben condensa quanto sta accadendo nelle principali aziende di gaming (e anche tech).

L’insostenibilità dello sviluppo videoludico

Tuttavia, questa situazione attuale non è imputabile esclusivamente allo scoppio post-pandemico della bolla, ma alla struttura stessa dell’industria dei videogiochi. La progressiva crescita tecnologica che ha investito la game industry nel corso degli anni ha portato le grandi produzioni videoludiche – i cosiddetti titoli tripla A – a richiedere budget sempre più grossi e sviluppi sempre più lunghi. Il caso di Skull and Bones, il videogioco coi pirati di Ubisoft, è abbastanza eclatante per quel che riguarda le tempistiche di sviluppo: annunciato nel 2017, il titolo ha visto la luce solo lo scorso febbraio, ottenendo un riscontro tiepido da parte di critica e pubblico. Questo perché nei sette anni necessari allo sviluppo, gli standard e i gusti del pubblico sono cambiati, rendendo Skull and Bones un titolo già vecchio all’uscita.

Per quanto riguarda i costi, guardando solo alla produzione di Sony, si è passati dai 3 milioni di dollari richiesti per i titoli di rilievo per PlayStation 2 a centinaia di milioni di dollari per le singole esclusive di PlayStation 4 e PlayStation 5. A dirlo è l’ex presidente di Sony PlayStation, Shawn Layden, su Edge, rivista britannica videoludica di spicco.

Nel dettaglio, The Last of Us Parte II e Horizon Forbidden West hanno avuto rispettivamente budget di 220 e 212 milioni di dollari. L’ultimo Marvel’s Spider-Man 2 è costato 315 milioni di dollari, più di qualsiasi altro film o videogioco legato all’Arrampicamuri. Sono cifre gigantesche, difficili da sostenere e che portano dietro di sé gravi rischi nell'ipotesi di vendite sotto le aspettative. Non è il caso dei titoli appena menzionati, ma è chiaro che gli standard degli attuali tripla A abbiano contribuito a generare la paura del fallimento, di bruciare enormi capitali per un mancato ritorno.

CRISI VIDEOGIOCHI | Un'immagine del recente Final Fantasy VII Rebirth, remake del videogioco uscito nel 1997 sulla prima PlayStation
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Ciò spiega perché il mercato attuale si basa principalmente su remasterizzazioni (remaster) e rifacimenti (remake) di saghe del passato, che contano già su una community costruita nel tempo, o comunque sulla ripresa di proprietà intellettuali storiche. Basti guardare i primi titoli del 2024, tra cui figurano il ritorno di Prince of Persia, il remake di Persona 3 e la seconda parte del remake di Final Fantasy VII. Tre giochi splendidi, ciascuno a modo proprio, che però riflettono la povertà creativa che al momento attanaglia il mercato mainstream e non solo.

Anche il panorama indie o delle piccole produzioni si trova coinvolto in questa crisi. Il paradosso sta nel fatto che il mercato resta saturo di proposte nonché ultracompetitivo, con tante uscite mensili, molte delle quali richiedono minimo 50-60 ore di gioco ciascuno. Un modo di concepire il videogioco che si rivela insostenibile anche per il singolo giocatore, costretto a decidere dove investire il proprio tempo e denaro tra una miriade di nuove uscite.

Le nuove sfide: intelligenza artificiale e pubblico da espandere

Alla paura del fallimento dei finanziatori e delle aziende, si aggiunge l’incursione dell’intelligenza artificiale nei processi di sviluppo. “La verità è che l'intelligenza artificiale entrerà nei videogiochi, che piaccia o meno alla gente”, ha affermato su Edge Mike Rose, fondatore dell’indie publisher No More Robots. "Vedremo sicuramente sempre più studi che utilizzeranno l’IA più apertamente nei loro giochi del prossimo anno, il che creerà una base in cui questa tecnologia sarà sempre più utilizzata nei prossimi anni. Alcuni studi la useranno in modo orribile, altri cercheranno di essere più etici a proposito. Ma in ogni caso, sta accadendo”.

Una previsione che andrà a toccare alcune figure professionali del settore videoludico, principalmente legate al level design e al controllo qualità. È anche vero però che potrebbero nascere nuovi sbocchi lavorativi inerenti all’intelligenza artificiale nei videogiochi. Infine il terzo aspetto da tenere in considerazione è il pubblico. Tolta l’eccezionalità della pandemia, la quantità globale degli appassionati di videogiochi non è aumentata in termini di numeri ma di spese.

“Il numero di persone che possiedono le console oggi è sostanzialmente lo stesso di quello della fine anni 90, circa da 240 a 260 milioni di persone” ha riportato il giornalista Christopher Dring in un articolo del 2021 per GameIndustry.biz. "Stiamo solo convincendo le persone nel mondo dei giochi a spendere più soldi" ha ribadito lo stesso Layden nell’articolo in questione. Di conseguenza non ci sono nuovi sbocchi per un mercato sempre più saturo, caratterizzato da tempi e costi non più sostenibili, sia per chi sviluppa sia per chi gioca.

CRISI VIDEOGIOCHI | Nintendo e la sua produzione rappresentano un'eccezionalità del settore
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In questo contesto, l’unica oasi felice sembra Nintendo, che rappresenta l’azienda più remunerativa di tutto il Giappone e non è stata toccata dai licenziamenti di massa prima citati. Un’eccezione che fa riflettere, dato che l’azienda nipponica ha un modello di business molto diverso dagli attori concorrenti come Sony e Microsoft, in cui al centro non c’è la potenza tecnologica (Nintendo Switch ne è una perfetta dimostrazione) ma l’esperienza di gioco con icone immortali (Mario, Link, Kirby, Peach) adatte sia al pubblico di riferimento che casual.

La panoramica fatta fin qui lascia emergere un settore che è in crisi con la sua stessa identità. Un’industria che è stata sempre narrata in modo trionfalistico e in termini di crescita, ma che ora non può più nascondere le sue gravi problematicità. Con questo non si intende dire che i videogiochi cesseranno di esistere nell’immediato futuro ma dovranno cedere ai grossi cambiamenti interni che modificheranno l’industria per come abbiamo imparato a conoscerla in questi 50 anni di storia videoludica.

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