Come si crea un videogioco indie in Italia, Gianluca e Uriel: “Volevamo vedere i dinosauri nel Far West”

Nel Far West di Dino Path Trail i dinosauri non si sono estinti: pascolano e predano nella frontiera selvaggia, dove la legge è quella della pistola. Nei panni di Lucy, una ragazzina armata di determinazione e revolver, affronteremo un viaggio in carovana per vendicare la madre uccisa e salvare la sorellina rapita da una banda di fuorilegge. Inizia così un’avventura tra triceratopi, sparatorie e accampamenti, in una reinterpretazione originale della corsa all’oro del XIX secolo.
Si potrebbe riassumere così il videogioco d’esordio di Void Pointer, giovane studio indipendente romano dalle piccole dimensioni (hanno lavorato in tutto 15 persone al gioco) ma dalle grandi ambizioni, sia artistiche che ludiche. Dino Path Trail è un roguelike survival con meccaniche basate sul tempismo: ogni azione – sparare, schivare, ricaricare, raccogliere risorse – richiede precisione per ottenere il massimo risultato. Anche gestire le scorte è essenziale: fame, sete, caldo e nemici metteranno costantemente alla prova la nostra resistenza. Fanpage.it ha intervistato Gianluca Sutrini e Uriel Cozzolino, rispettivamente creative director e producer nonché co-fondatori di Void Pointer, per conoscere i retroscena dello sviluppo videoludico.

Far West e dinosauri insieme: come nasce questa idea?
Quando abbiamo fatto il concept, ormai quattro anni fa, una persona del team aveva detto di voler raccontare un viaggio. In quel periodo, io stavo giocando a un gioco che dava la possibilità di cambiare luogo tramite carovane. Intanto eravamo sicuri di voler fare un gioco in cui bisogna combattere. Da qui siamo arrivati all'idea del viaggio nel Far West, durante la caccia all'oro. "Perfetto" pensavamo, ma sentivamo che mancava qualcosa. Così, la stessa persona che voleva raccontare il viaggo se n'è uscita con "e se mettessimo i dinosauri?". Praticamente il sogno di ogni ragazzino. Da lì, l'idea di prendere questi due temi legati all'infanzia e metterli insieme.
Avete utilizzato opere di supporto per il concept di Dino Path Trail?
Sì. Una di queste è Dinotopia, un'opera in cui i dinosauri non si sono estinti e vivono insieme agli umani, in una società completamente ripensata. Su internet poi abbiamo trovato anche dei disegni di cowboy con i dinosauri. Questo ci ha convinti a dire "sì che figo, facciamo questo".
E sul fronte videogiochi?
C'è un po’ di The Oregon Trail, che è questo gioco degli anni '70 ambientato nel Far West, da cui abbiamo preso il lato survival per Dino Path. Anche il nome Dino Path Trail non è proprio casuale.

Il vostro è un gioco di contrasti, a partire dallo stile cartoonesco per rappresentare un mondo spietato.
Tutto è nato ancora una volta dall'art director. Le parole chiave che avevamo scelto per raccontare il mood di questo viaggio erano "crudo", "ironico", "spaghetti western". Il nostro art director ha quindi unito tutto questo ma in modo “puccioso”, perché lui non ce la fa a fare un qualcosa che non lo sia! In realtà lui è versatilissimo, però questo è ciò che gli viene naturale. Per cui abbiamo deciso di abbracciare la corrente e lasciarci trasportare. Abbiamo comunque cercato di inserire degli elementi di contrasto.
Un gioco di contrasti che è evidente anche nella scrittura.
Sì, il viaggio inizia in modo tragico, ma lo raccontiamo con ironia e leggerezza. In più scherzare coi nomi dei personaggi, tramite la descrizione delle loro azioni come nel caso dell'antagonista iniziale, ci ha permesso di dare informazioni in più al player durante il gioco, senza rompere l'immersione. Siamo un piccolo un studio, non abbiamo il tempo di raccontare tramite cutscene animate.
Interessante. Altri escamotage del genere?
Il sangue. Al di là di fungere da contrasto allo stile puccioso, un po’ à la Tarantino, il sangue dei nemici rimasto serve come orientamento. Se il player trova il sangue per terra, capisce di trovarsi in una zona già esplorata perché lì c’è stato uno scontro con una miriade di nemici.
Passando a Void Pointer, com'è nato lo studio?
Mentre mangiavamo ramen in una giornata d'estate, poco prima di agosto, quando io, Gianluca e Giacomo eravamo ancora studenti in AIV. Avevamo voglia di fare qualcosa di nostro e che fosse di grande qualità. Abbiamo quindi messo in piedi un team col meglio del meglio che potevamo trovare dalle nostre conoscenze, per un totale di 15 persone all'inizio.
Durante i quattro anni di sviluppo, come Void Pointer avete sempre messo al centro i feedback del pubblico.
I feedback sono fondamentali. Io in questo momento sto lavorando al computer, nel frattempo su un altro schermo ho due o tre stream in contemporanea di persone che stanno testando Dino Path: con un occhio posso guardare il loro gameplay, con l'altro lavorare, e intanto immagazzinare le loro lamentale o feedback positivi. Abbiamo migliorato, ingrandito se non ingigantito molte cose grazie ai pareri raccolti. Ovviamente senza snaturare o distruggere l'essenza del gioco, ma in generale bisogna prendere l'apporto dal pubblico. È un filtraggio, un faro guida. Alla fine il gioco non è per noi, ma per tutti coloro che vogliono giocarci. Sembra brutto da dire, ma il videogioco è un prodotto da vendere a un pubblico.
Avete partecipato anche alle fiere di settore in questi anni, giusto? In Italia o anche all’estero?
Abbiamo partecipato a moltissime fiere, sia nazionali che internazionali. La prima, la White Nights Conference di Istanbul, è stata molto importante. Lì abbiamo vinto il Grand Prix Dev Contest e abbiamo incontrato per la prima volta i publisher. Abbiamo partecipato poi ad altre fiere, come la Nordic Game e la Gamescom di Colonia. In Italia invece abbiamo partecipato a qualsiasi evento: da Milan Games Week al Romics, fino al GIF di Prato. Importantissimo anche Svilupparty a Bologna, a proposito di feedback: essendo un evento per sviluppatori, è molto interessante il confronto, e permette tanto networking. Da questo punto di vista anche il First Playable di Firenze è fantastico.

Parlando di publisher, alla fine com’è andata?
In questi quattro anni abbiamo provato a cercare un publisher. Molte volte siamo stati vicini a chiudere un accordo, ma ogni volta si sfaldava per qualche motivo. Ad esempio a Istanbul, eravamo entrati in trattativa con un publisher russo, ma poi è scoppiata la guerra in Ucraina. Gli eventi mondiali impattano anche il nostro ambiente. In più oggi c’è la crisi nata dalla bolla del Covid-19 che ha fatto diminuire gli investimenti, con aziende meno propense a rischiare.
Come descrivereste il vostro viaggio nella game industry come indipendenti?
Sofferenza, testardaggine e passione: queste sono le tre parole chiave del nostro viaggio. Per noi è stato estremamente bello lavorare a Dino Path, perché abbiamo avuto la capoccia dura, la passione abbastanza forte da sopportare tutti i sacrifici e la sofferenza di questi quattro anni. E ce l'abbiamo fatta, abbiamo finito un prodotto di qualità con un team senza soldi e senza giochi tripla A alle spalle.