Un nuovo test sull’attività del cervello può prevedere l’Alzheimer anni prima dei sintomi

Fastball, un test innovativo che misura l’attività elettrica del cervello, può prevedere l’insorgenza dell’Alzheimer fino a cinque anni prima della comparsa dei sintomi: il test dura solo 3 minuti, non è invasivo e misura le onde cerebrali in risposta a stimoli visivi, individuando precocemente i problemi di memoria legati a questa forma di demenza.
Gli studi clinici finora condotti indicano che Fastball potrebbe rivoluzionare la diagnosi precoce dell’Alzheimer, offrendo la possibilità di intervenire tempestivamente: tra questi, un recente studio, pubblicato sulla rivista Brain Communications, ha confermato la capacità del test di rilevare le disfunzioni amnestiche nelle persone con lieve deterioramento cognitivo, una condizione che può precedere lo sviluppo dell’Alzheimer.
“La diagnosi precoce – spiegano i ricercatori dietro lo sviluppo del test Fastball, guidati dal dottor George Stothart dell’Università di Bath, in Inghilterra – apre nuove prospettive nella prevenzione e nella gestione dell’Alzheimer, aiutando a identificare in modo accurato le persone che possono beneficiare dei nuovi farmaci e dei cambiamenti sullo stile di vita”.
Cos’è il test dell'Alzheimer Fastball e come funziona
Il test Fastball è un tipo di elettroencefalogramma (EGG) che utilizza piccoli sensori sul cuoio capelluto per registrare l’attività elettrica del cervello durante la visione di una sequenza di immagini su uno schermo. Questo metodo consente di misurare in modo preciso come il cervello elabora gli stimoli visivi, rivelando le alterazioni nelle funzioni mnemoniche rispetto alle immagini visualizzate prima del test.

Questo tipo di misura passiva della memoria, della durata di 3 minuti, è sensibile “alla disfunzione amnesica in una fase precoce dello sviluppo della demenza” hanno precisato gli sviluppatori del test. Il test è facile da eseguire e non richiede alcuna risposta comportamentale o comprensione del compito, aiutando a identificare i primi segni di declino cognitivo tipici dell’Alzheimer.
I risultati del nuovo studio sul test Fastball
Il nuovo studio, pubblicato su Brain Communications, ha esaminato la sensibilità del test Fastball in 53 pazienti con deterioramento cognitivo lieve e 54 anziani sani: durante il test, i partecipanti hanno guardato immagini presentate rapidamente, mentre l’elettroencefalogramma registrava la loro capacità di riconoscere le immagini basandosi su un’esposizione precedente. Il test è stato ripetuto dopo un anno, per valutarne l’affidabilità e la capacità di rilevare il declino cognitivo.
I risultati hanno mostrato che i pazienti con declino cognitivo amnesico presentavano risposte Fastball significativamente più ridotte rispetto ai pazienti con declino cognitivo non amnesico e ai controlli sani, evidenziando una correlazione specifica tra attività cerebrale e deficit di memoria. Inoltre, Fastball ha dimostrato una buona affidabilità nel tempo, mostrando un’ulteriore diminuzione dell’attività cerebrale nei pazienti che, nel corso di un anno, sono passati dal declino cognitivo alla demenza, suggerendo un ruolo importante del test nel monitoraggio precoce dell’Alzheimer.
“Primo passo verso un test clinicamente utile”
Sebbene il test non possa ancora identificare con certezza chi svilupperà l’Alzheimer o altre forme di demenza, potrebbe aiutare i medici a identificare quali pazienti sono ad alto rischio e possono trarre maggiori benefici dagli interventi sullo stile di vita e dai nuovi farmaci per l’Alzheimer, come il donanemab e il lecanemab.
“Si tratta di un primo passo verso lo sviluppo di un test clinicamente utile” ha affermato il professor Vladimir Litvak, docente del Queen Square Institute of Neurology dell’University College di Londra che non è stato coinvolto nello studio. Un passo successivo cruciale, ha aggiunto l’esperto, sarà determinare se il test può prevedere l’evoluzione delle condizioni di una persona nel tempo e orientare le decisioni terapeutiche.
Anche la dott.ssa Julia Dudley, dell’Alzheimer’s Research UK, ha commentato i risultati del nuovo studio, evidenziando l’importanza di “ulteriori ricerche a lungo termine, su gruppi di persone più ampi e diversificati, per scoprire se questa tecnologia potrà prevedere come si evolveranno i problemi di memoria nel tempo”.