Un fungo trasforma gli scarti delle carote in super-proteine: “Più buono dei normali burger vegani”

Un team di scienziati ha scoperto che gli scarti della lavorazione delle carote possono diventare la base per coltivare funghi edibili capaci di produrre una proteina di alta qualità. La scoperta, pubblicata sul Journal of Agricultural and Food Chemistry, potrebbe non solo rispondere alla necessità di nuove fonti di nutrimento per una popolazione mondiale in costante aumento, ma anche offrire una nuova alternativa alimentare gustosa e sostenibile. Durante le fasi di sperimentazione, i ricercatori hanno infatti sottoposto a un campione di volontari alcuni burger e salsicce a base di questi funghi. Il risultato? I nuovi prodotti sono risultati più piacevoli al palato rispetto ai comuni alimenti plant-based oggi disponibili sul mercato.
Un fungo rosa per un futuro sostenibile
Nel processo di ricerca di una nuova fonte proteica, gli scienziati hanno testato 106 tipologie di funghi, coltivandole su scarti di carote arancioni e nere impiegate per produrre coloranti naturali. Alla fine la scelta è ricaduta il Pleurotus djamor, noto anche come "fungo ostrica rosa", di origine tropicale e assolutamente commestibile. Una scelta non casuale, poiché in condizioni controllate il micelio – la sua struttura radicale – cresce velocemente, occupa poco spazio e garantisce un apporto proteico paragonabile a quello animale o vegetale. Il basso contenuto di grassi, l'alta presenza di fibre e la possibilità di un utilizzo efficiente da parte del corpo umano hanno poi reso questo alimento un candidato ideale per lo scopo dello studio.
Dal laboratorio al palato: la prova del gusto
L'innovazione non sarebbe però credibile senza superare la prova più importante, ossia quella del palato. Il team ha così realizzato alcuni burger vegani (utilizziamo ancora questo termine in attesa delle decisioni dell'UE sui nomi dei prodotti che richiamano la carne, pur senza contenerla) sostituendo progressivamente la soia con micelio. Ai partecipanti sono quindi stati presentati piatti con concentrazioni dello 0%, 25%, 50%, 75% e 100% del fungo.
Alla fine del test volontari hanno premiato proprio i burger composti interamente dal fungo, giudicati più saporiti, con una migliore consistenza, e dotati di un gusto più fedele all'originale "carnivoro". La medesima dinamica si è ripetuta con le salsicce vegane, dove la versione fungina è stata preferita per gusto e profumo a quella a base di ceci. "Il micelio non solo offre una proteina sostenibile, ma rende anche gli alimenti più piacevoli da consumare", ha affermato Martin Gand, ricercatore della Justus Liebig University di Giessen (Germania) e co-autore dello studio.
Verso un'economia circolare del cibo
Al di là dell'aspetto nutrizionale, a risultare più promettente agli occhi dei ricercatori è il fatto che la coltivazione del Pleurotus djamor non richiede nuovi campi o terreni agricoli. Il fungo vive e prolifera su altri scarti vegetali che altrimenti sarebbero destinati allo smaltimento. Un esempio concreto di economia circolare che rappresenta un aspetto cruciale per le sfide del futuro.
Nonostante gli indiscutibili progressi tecnologici degli ultimi decenni, la fame resta infatti una piaga per una buona fetta del pianeta. Secondo il report del 2025 stilato dalla Food and Agriculture Organization (FAO) delle Nazioni Unite, nel mondo ci sono ancora 673 milioni di persone che non hanno cibo a sufficienza, mentre quasi un terzo della popolazione mondiale (circa tre miliardi di individui) non riesce comunque a permettersi una dieta sana. Parallelamente, ogni giorno, tonnellate di residui alimentari vengono scartati e sprecati dai processi produttivi. È proprio in questo divario tra carenza e spreco che lo studio punta a inserirsi, proponendo una soluzione circolare per trasformare gli elementi residui della lavorazione agroalimentare "in una fonte proteica di alta qualità" che possa offrire cibo nutriente, gustoso e a bassissimo impatto ambientale.