Scienziati propongono di contaminare una luna di Saturno con la vita terrestre per vedere che succede

Secondo la maggior parte degli esperti, la presenza di vita aliena su altri pianeti e lune nell'immensa vastità dell'Universo è ritenuta molto probabile, tuttavia, ad oggi non abbiamo alcuna prova al riguardo, restando ancorati al famoso paradosso di Fermi (che è legato alle forme di vita intelligenti). Per cercare potenziali tracce biologiche non è comunque necessario rivolgersi ai lontanissimi – e attualmente irraggiungibili – pianeti extrasolari ad anni luce da noi; nel Sistema solare, infatti, ci sono comunque alcuni corpi celesti con caratteristiche tali che li rendono compatibili con la vita microbica, perlomeno quella che conosciamo qui sulla Terra.
Tra i principali candidati a ospitare potenziali forme di vita vi è la luna di Saturno Encelado, caratterizzata da un oceano sotterraneo e bocche idrotermali dove potrebbero prosperare organismi simili agli estremofili che popolano gli abissi terrestri. La sonda Cassini, durante i sorvoli attorno al “Signore degli Anelli”, ha anche rilevato presenza di molecole organiche nei giganteschi geyser che la luna espelle nello spazio. Anche l'oceano sotterraneo sotto la crosta ghiacciata di Europa (una luna di Giove) e i grandi laghi di metano ed etano liquidi su Titano (un'altra luna di Saturno) potrebbero essere adatti alla vita, così come il cuore di alcuni pianeti nani come Cerere. Persino alcuni ambienti di Marte sono considerati interessanti dal punto di vista astrobiologico, anche se sul Pianeta Rosso i rover Perseverance e Curiosity cercano soprattutto prove di vita aliena antica ed estinta, risalente al periodo in cui Marte era solcato da oceani, fiumi e laghi.

Quelli sopraindicati sono tutti luoghi dove poter cercare tracce biologiche e, non a caso, la NASA sta progettando missioni ad hoc, come Dragonfly su Titano ed Enceladus Orbitlander su Encelado. Entro i prossimi due decenni potremmo avere risposte risposte molto significative alla domanda se siamo davvero soli nell'Universo oppure no. Anche la scoperta di semplici forme microbiche su un altro mondo, del resto, cambierebbe radicalmente la nostra prospettiva sull'esistenza della vita. Ma poniamo che tutte le missioni progettate in futuro non trovino tracce biologiche su questi mondi alieni; sarebbe corretto contaminarle con organismi terrestri per vedere cosa succede? Questa è controversa proposta di un team di ricerca internazionale composto da studiosi dello UK Centre for Astrobiology dell'Università di Edimburgo (Regno Unito) e della Scripps Institution of Oceanography di San Diego (Stati Uniti), che comunque suggerisce di fare un tentativo del genere solo qualora dovesse essere certa – o quasi – l'assenza di vita autoctona.
Le ragioni di un simile esperimento sarebbero diverse. Ad esempio, da una parte potremmo studiare in che modo la vita colonizza e si diffonde su un mondo alieno, ottenendo così informazioni preziose su come i primi microorganismi conquistarono la Terra antica; dall'altra potremmo innescare proficui cambiamenti su scala globale con costi gestibili e tecnologie già attualmente disponibili, a differenza delle proposte di terraformazione di Marte, che al momento non possono che restare sulla carta. I ricercatori guidati dal dottor Charles S. Cockell non sottovalutano comunque la questione etica del contaminare un corpo celeste con la vita terrestre, anche se disabitato. Il problema sarebbe anche essere sicuri dell'assenza di forme di vita, considerando che anche sulla Terra vi sarebbero milioni di specie non ancora scoperte, soprattutto sui fondali marini, dei quali abbiamo una conoscenza limitatissima.
Va anche tenuto presente che la protezione di mondi potenzialmente abitabili è tutelata da regolamenti del COSPAR (Comitato per la ricerca spaziale) e della Commissione delle Nazioni Unite sull'uso pacifico dello spazio extra-atmosferico, che ad esempio prevedono rigorose procedure di sterilizzazione delle sonde delle missioni spaziali proprio per evitare la contaminazione di altri corpi celesti con forme di vita terrestri, che potrebbero avere un impatto catastrofico. Proprio per questo non sarebbe una decisione agevole quella di inoculare la vita su altri mondi. “Poiché potremmo non avere certezza sulla loro condizione di essere disabitati, dovremmo decidere se opporci a qualsiasi esperimento di inoculazione per principio o se un certo livello di fiducia nel loro essere disabitati, determinato da un adeguato regime di campionamento, ne consenta l'inoculazione”, hanno chiosato gli autori dello studio. I dettagli della ricerca “Inoculating Enceladus” sono stati pubblicati su Space Policy.