Safari etico, quando l’emozione nasce dal rispetto per gli animali: il racconto dell’etologa Chiara Grasso
L'incontro con gli animali selvatici è sempre un'intensa emozione per chi ama la natura, a maggior ragione se le specie coinvolte sono quelle più grandi e iconiche, magari conosciute soltanto attraverso film e documentari. Fra i più ambiti e desiderati, se così possiamo dire, ci sono senza alcun dubbio gli animali della savana africana, come i cosiddetti “Big Five”: leoni, elefanti, rinoceronti, bufali e leopardi, ai quali possiamo aggiungere anche ippopotami, giraffe, zebre, struzzi, coccodrilli e moltissimi altri "da cartolina".

Per coronare il sogno di avvistarli, migliaia di persone organizzano ogni anno safari ed esperienze di vario tipo in Africa, magari in quei posti tanto pubblicizzati da vip e influencer sui social network. Proprio in questi giorni è diventato virale un video di Federica Panicucci pubblicato da un resort di lusso in Tanzania, mentre la si vede fare colazione tra le giraffe alimentate dallo staff. Nel momento in cui stiamo scrivendo, il post ha raggiunto quasi 22.000 like.
Con questi esempi innanzi agli occhi, in molti credono che sia proprio questo il modo giusto per approcciarsi agli animali della savana e avere l'opportunità di incontrarli; del resto, per chi desidera vederli da vicino, cosa potrebbe esserci di più bello del poter sorseggiare un'aranciata in loro placida compagnia? Moltissimo, diremmo noi, considerando che a beneficiare davvero di simili esperienze sono solo coloro che si arricchiscono sfruttando gli animali.

Anche i safari nei quali viene garantita l'osservazione di leoni ed elefanti a 3 metri dal fuoristrada hanno i loro lati oscuri, mettendo al centro dell'esperienza l'esaudimento del desiderio dei turisti e non il benessere degli animali, il rispetto dei loro bisogni e spazi. Nonostante larghissima parte della proposta turistica sia tarata su questa tipologia di esperienze, ci sono anche opzioni etiche e sostenibili, nelle quali il comprensibile desiderio di ammirare queste meravigliose creature viene appagato nel pieno rispetto della loro natura.
Parliamo dei safari etici, esperienze completamente diverse da quelle mostrate negli spot patinati dei resort di lusso; esse non garantiscono la certezza di incontrare un determinato animale, ma consentono di vivere intensamente il contatto con la vera savana africana, facendo al contempo del bene alle popolazioni locali. Per comprendere meglio cosa sono i safari etici e quali principi li guidano, abbiamo contattato l'etologa Chiara Grasso, che da anni organizza questi viaggi e si batte in prima linea per il benessere animale. Ecco cosa ci ha raccontato direttamente dal Mozambico.

Dottoressa Grasso, cos'è un safari etico?
Indicativamente per me un safari etico è un safari in cui il centro del viaggio non è il turista, ma è l'animale. Intendo la conservazione e la salvaguardia della fauna selvatica e dell'ambiente, perché i safari, così come tantissimi altri progetti di turismo sostenibile, possono essere delle risorse importantissime per la conservazione faunistica. Se un parco inizia a ricevere turisti di un certo tipo attraverso safari di un certo tipo, può ottenere dei fondi da destinare alla lotta al bracconaggio, al monitoraggio delle specie, alla conservazione, oltre che per i ranger e i biologi. È ovviamente un meraviglioso piano inclinato.

Quali sono le caratteristiche di questi safari?
Il safari etico è un strumento per la conservazione, nel quale vi è la consapevolezza di non essere certi di vedere gli animali, di incontrare tutti i Big Five, come il leone che si accuccia sotto la macchina e si addormenta, oppure l'elefante che mi passa accanto a 2 metri. Questo non è etico e soprattutto non è utile alla conservazione, perché sta mandando un messaggio sbagliato. Se io voglio la certezza di vedere il leone a questo punto vado allo zoo, che poi anche lì non è del tutto sempre vero e scontato (e giusto) che sia così. Il safari è un'immersione nella natura.
Ci sono volte in cui sono uscita in safari e non ho visto altro che uccelli e impala, cioè le antilopi classiche dell'Africa. Questo non vuol dire che sono state giornate buttate o che io non abbia visto nulla. Perché tutto in natura può essere spiegato, tutto in natura ha un ruolo. Non è che il safari ha valore e senso soltanto se vedo elefanti, giraffe, leoni e rinoceronti. Ha senso anche quando trovo una traccia, trovo una fatta (una cacca), quando mi fermo ad ascoltare il canto degli uccellini e ne osservo il volo.

Mi rendo conto che questo è un discorso che purtroppo non si può fare per tutti e con tutti, ma è il turismo che deve cambiare. È il turismo che deve iniziare a concepire i safari – e in generale anche il whale watching, il bird watching e le escursioni in natura – non come delle attività in cui gli animali diventano attrazioni, ma esperienze in cui l'umano, grazie a guide, progetti e strutture che lo permettono, può immergersi in natura e osservarne tutte le peculiarità, quindi non soltanto i Big Five. Questo è il primo concetto di safari etico, la non certezza di vedere sempre tutti gli animali che vogliamo.
Il Kenya è diventato un po' la Rimini dell'Africa, ci vanno tutti perché costa poco ed è pubblicizzato sui social network. Qui hai la certezza di vedere leoni, giraffe ed elefanti vicinissimi alla macchina, tutti gli animali da cartolina africana. Ti fai un giorno e mezzo di safari dentro questi lodge con piscina – dovremmo considerare che siamo in mezzo alla savana e quindi è già abbastanza strano che ci sia una piscina – e attività costruite per il turista. Il safari etico non è questo: deve, dovrebbe e dovrà essere un progetto di conservazione.

Ma se una persona viene in Africa pagando, proprio perché il suo desiderio è appunto vedere il leone o l'elefante, come si fa a convincerla che il safari etico è comunque la scelta giusta, se poi non ha la certezza di incontrarli? Del resto, purtroppo, viviamo in un mondo in cui gli allevamenti intensivi e la sofferenza animale sono socialmente accettati, nonostante alcuni si battano per i loro diritti.
La verità è che non lo so ed è per questo che io da anni cerco di divulgare il principio dell'etologia etica alla base. Mi rendo conto che non è facile far passare questo messaggio all'utente medio, che di per sé già non ha una sensibilità spiccata. Finché la Panicucci di turno lascia il messaggio che andare in Africa vuol dire farsi la foto a colazione con le giraffe mentre vengono alimentate, è normale che milioni di follower, milioni di italiani avranno quella come idea di safari, di “esperienza africana”. Bisognerebbe iniziare proprio a radicare l'idea che gli animali e la natura non ci devono necessariamente dare qualcosa. Chissà che non siamo noi a dover dare qualcosa a loro.

Ma come possiamo far passare un messaggio di questo tipo?
Io quello che provo a fare attraverso i social, i video, gli articoli, etc etc, è gettare le basi per un pensiero critico. Cioè, se è vero che tu hai pagato per venire in Africa, però non hai pagato per avere la certezza di vedere l'elefante. Anche in un safari etico puoi vedere di tutto, ma non è quello il nostro obiettivo. Fare un safari non significa vedere tutti gli animali compilando una checklist, andare alla ricerca ossessiva di questi animali come se fossimo dei cacciatori. Si percorrono dei sentieri e tutto quello che si vede è un dono, dal rinoceronte all'impala, sino all'uccellino “Zazu”, il bucero per intenderci, che a me emoziona sempre tanto vederlo.

Poi ecco, io sono la prima che si commuove ed emoziona quando vediamo l'impronta di iena o di leone. È normale che uno voglia vedere il leone, perché è comunque un animale reso carismatico, un grande carnivoro, difficile da incontrare ed estremamente importante per l'ecosistema. Ma questo non significa che il tuo viaggio in Africa non ha avuto senso se non lo hai visto. È un messaggio estremamente difficile da far passare e proprio per questo gli articoli come quello che stiamo facendo in questo momento sono fondamentali. Mettiamo un semino nella testa della gente, un semino di consapevolezza che poi, chissà, magari crescerà e diventerà un baobab, magari no. Però intanto mettiamocelo.
Se qualcuno vuole partire con me perché vuol vedere il rinoceronte, semplicemente, gli dico di non venire. Perché sebbene poi magari se ne vedano tanti, si parte comunque con l'idea sbagliata. Non si è pronti ad esempio a veder fermare la macchina davanti alle scimmie per osservarne il comportamento per mezzora, che è quello che io faccio. Ci mettiamo seduti, fermi davanti a una laguna e osserviamo i suoi ritmi, chi si abbevera, i comportamenti, le vocalizzazioni. E poi facciamo piccoli etogrammi, lo strumento che noi etologi utilizziamo per osservare gli animali in modo quantitativo. Facciamo i piccoli etologi e osserviamo, ma è una cosa che non si può fare con tutti i turisti ed è una sfida.

Perché in molti non riescono a capire che le cosiddette “esperienze”, quelle in cui si manipolano gli animali e gli si si dà da mangiare, sono sbagliate? Quali sono i pericoli dell'alimentare un animale selvatico.
Attirare gli animali selvatici in natura con il cibo è sempre sbagliato, perché andiamo a modificarne il comportamento, ad alterare l'ecosistema. Se io – ipotizziamo – do da magiare in modo artificiale a foche, leoni marini, delfini, squali, volpi, lupi, leoni e altri, questi non andranno più a cacciare e si creerà uno squilibrio nella catena trofica. Essendo alimentati da noi, smettono di svolgere il loro ruolo ecologico, che se sono un predatore è quello di predare. Se io non predo più perché tanto aspetto l'uomo che arriva e mi butta il pesce, automaticamente ci sarà un disequilibrio nell'ecosistema (troppi pesci etc etc).
La vicinanza tra uomo e animali selvatici è inoltre un rischio enorme per il contagio di zoonosi, quindi di malattie trasmissibili tra uomo e altri animali. Rischiamo poi di rendere confidenti questi animali nei confronti dell'essere umano, facendo perdere loro la sacrosanta diffidenza nei nostri confronti. E così diventano potenzialmente pericolosi, perché possono attaccarci.

Come accaduto con l'orso che ha ucciso un motociclista italiano pochi giorni fa
Esattamente. E poi ci lamentiamo degli animali. Basta pensare anche ai cinghiali sotto casa che mangiano la spazzatura che noi volontariamente o involontariamente lasciamo. In Africa hanno questo problema con le scimmie; se io alimento i babbuini, poi i babbuini diventano sempre più confidenti e me li ritrovo sotto casa. E sono potenzialmente pericolosi. Poi diventando confidenti, questi animali rischiano anche di essere investiti, cacciati e uccisi dai bracconieri. Questi sono i rischi dell'alimentare gli animali selvatici rendendoli attrazioni umane, ma anche facendolo per diletto perché poi così mi faccio il selfie.

E poi c'è il discorso delle esperienze, come quella della Panicucci
Secondo me è giusto che le persone capiscano che tutti sbagliano e che non c'è nulla di male in questo. Anche io ho sbagliato e ci ho messo due anni per capirlo. Proprio per questo credo che fare informazione è preziosissimo. Se io avessi avuto l'informazione che era sbagliato andare a coccolare i babbuini, a dormire con le scimmie e a portare a passeggio i ghepardi, non l'avrei fatto. Io la racconto sempre questa cosa: amare gli animali e rendersi conto di aver contribuito al loro sfruttamento è terribile. Ed è per questo che ho iniziato a fare divulgazione. Il dolore che ho provato per l'errore commesso non lo auguro nemmeno al mio peggior nemico. Voglio continuare a evitare che chi ama gli animali non si senta vittima e carnefice di questo turismo fatto sulla pelle degli animali, che tu credi di andare ad aiutare ma in realtà non è così.

Ci spieghi
In questi posti ti fanno credere che vai ad aiutarli, ma in realtà li sfruttano e si arricchiscono sulla loro pelle. Per fortuna ora è illegale – anche se in Africa ce ne vuole prima che passi una legge – ma prima i leoncini venivano allattati da turiste e turisti, poi venivano sfruttati per le passeggiate con gli esseri umani (walking lions) e infine abbattuti una volta raggiunta la maturità sessuale. I maschi uccisi per la caccia al trofeo – una volta cresciuti erano abituati all'uomo e non distinguevano un biberon da un fucile – e le femmine sfruttate per sfornare altri piccoli.
Come queste ci sono tantissime altre esperienze simili, senza arrivare necessariamente a ucciderli. In alcuni casi gli animali vengono spacciati come in difficoltà, che non possono tornare in natura, come gli elefanti in Thailandia, così i turisti hanno la coscienza pulita di fare un'attività etica. Li lavano, aiutano, alimentano, quando in realtà l'unica cosa che vorrebbero questi animali è non essere spruzzati dall'acqua dei turisti tutto il giorno. Quello che vorrebbero è essere lasciati in pace. Interagire con l'essere umano per un animale selvatico è innaturale, perché è un animale che non si è coevoluto con noi, a differenza del cane, del gatto e del cavallo.

Quando noi andiamo a interagire con un animale selvatico lo facciamo per soddisfare un nostro bisogno, ma l'animale non si farebbe mai accarezzare da noi, se fosse veramente libero dal ricatto alimentare, libero dall'interazione con l'essere umano nel corso degli anni. Le cose vanno fatte secondo natura. Tornando alla Panicucci, una giraffa che si avvicina per essere alimentata, così a stretto contatto con l'essere umano, non è secondo natura. L'animale sta facendo qualcosa che non è nella sua etologia, sta andando contro il suo istinto. E poi sentiamo che una tigre sbrana un turista, che un elefante lo schiaccia o che uno squalo se lo mangia, come capitato a un bambino che ha fatto il nuoto con gli squali qualche anno fa.

I safari etici prevedono anche una stretta collaborazione con le popolazioni locali, con progetti ad hoc per sostenerle.
Non può esserci conservazione senza l'aiuto, il sostegno e la collaborazione con le popolazioni locali. Il parco di Zinave dove eravamo qualche giorno fa, in Mozambico, era abitato da comunità che vivevano di caccia. Poi siamo arrivati “noi” e abbiamo deciso che quel parco era un hotspot di biodiversità da conservare, così abbiamo detto alle popolazioni locali che non potevano più vivere di caccia e che sarebbero state spostate, per proteggere i leoni e i rinoceronti. Quindi che succede a questo punto? Che per evitare che queste comunità siano vittime e che subiscano in negativo l'impatto della conservazione faunistica, si è deciso che il 20 percento delle entrate del turismo alla fine dell'anno è destinato a loro. Ma è comunque poco, perché Zinave non è un parco turistico. Quindi stiamo parlando proprio di pochi spicci che finiscono a migliaia di persone. Il parco quindi le assume e dà loro un lavoro, diverso da quello che prima era la caccia. Poi noi abbiamo portato concretamente nelle nostre valigie fototrappole, hard disk, torce e macchine fotografiche per donarle al biologo del parco, che in cambio ci ha fatto una lezione di un'ora sulla conservazione e sul suo lavoro.

A di fuori del safari abbiamo fatto un progetto coi cavallucci marini, dove lavora un ragazzo che prima faceva bracconaggio, li prendeva per venderli ai cinesi e farli essiccare come medicina tradizionale. Oggi li cerca per farli vedere a turisti, quindi questa è stata una riconversione del suo ruolo. Diciamo che in questi progetti è tutto collegato, cioè il turista che aiuta la natura, la natura che aiuta le popolazioni locali, che a loro volta aiutano il turismo. È tutto un cerchio bellissimo che si chiude se viene fatto bene.
