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Questo test può rilevare l’Alzheimer 11 anni prima della comparsa dei sintomi

Un team di ricerca internazionale ha determinato che i livelli di una proteina nel sangue chiamata beta-sinucleina (β-sinucleina) possono indicare l’Alzheimer anche 11 anni prima della comparsa dei sintomi clinici, come la perdita di memoria e altre forme di declino cognitivo. Semplici analisi del sangue potrebbero aiutare milioni di persone a rallentare la progressione della neurodegenerazione.
A cura di Andrea Centini
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Semplici analisi del sangue potrebbero rivelare il morbo di Alzheimer circa undici anni prima della comparsa dei sintomi, tra i quali perdita della memoria, cambiamenti radicali nell'umore e difficoltà nella coordinazione e nel linguaggio. In questo caso non si parla di casi sporadici della malattia neurodegenerativa, la principale forma di demenza al mondo, bensì di quelli genetici associati a specifiche mutazioni. I ricercatori, infatti, hanno scoperto che i livelli ematici della proteina beta-sinucleina sono fortemente associati all'insorgenza di Alzheimer e iniziano ad aumentare una decina di anni prima della manifestazione sintomatica.

Questa proteina è presente nelle sinapsi che mettono in comunicazione i neuroni catalizzando la trasmissione dei segnali elettrici; quando si deteriorano, la proteina viene rilasciata e può essere rilevata nel flusso sanguigno, dove può rappresentare un biomarcatore di neurodegenerazione incipiente, presente molto prima che si manifesti il declino cognitivo vero e proprio. Proprio per questo delle semplici analisi del sangue potrebbero rappresentare un preziosissimo aiuto nella diagnosi precoce, fondamentale per rallentare il più possibile la progressione della demenza. L'anticorpo monoclonale Donanemab (nome commerciale Kisunla) che colpisce le placche di beta-amiloide, ad esempio, se somministrato nelle fasi iniziali della condizione è in grado di rallentare il declino cognitivo fino al 35 percento e ridurre la progressione della demenza fino al 39 percento, come evidenziato dagli studi clinici.

A determinare che il rilevamento dei livelli della proteina beta-sinucleina nel sangue può essere un biomarcatore precoce in grado di rilevare l'Alzheimer – anche 11 anni prima della comparsa dei sintomi – è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati tedeschi dell'Università Martin-Lutero di Halle-Wittenberg, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di vari istituti. Fra quelli coinvolti il Dipartimento di Neurologia dell'Ospedale Universitario di Ulm; il Dipartimento di Neurologia della Facoltà di Medicina dell'Università di Washington; Centro di ricerca sulla demenza – Dipartimento di malattie neurodegenerative dello University College di Londra; l'Ospedale Anam dell'Università della Corea e molti altri. I ricercatori, coordinati dal professor Markus Otto, docente presso il Dipartimento di Neurologia dell'ateneo tedesco, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver confrontato i livelli di beta-sinucleina (β-sinucleina) nel siero di 69 persone sane senza mutazioni legate al declino cognitivo; 78 persone portatrici di mutazioni associate all'Alzheimer ma senza sintomi di declino cognitivo; e 31 portatori di mutazioni con manifestazioni sintomatiche della neurodegenerazione.

Incrociando tutti i dati il professor Otto e colleghi hanno scoperto che i livelli di beta-sinucleina erano più elevati nei pazienti con demenza sintomatica rispetto ai portatori non sintomatici, mentre questi ultimi a loro volta avevano livelli più alti dei non portatori sani, come in una sorta di percorso progressivo. “Traiettorie longitudinali e analisi di correlazione hanno indicato che i livelli di β-sinucleina iniziano ad aumentare dopo la deposizione dell'amiloide, che precede la degenerazione assonale, l'atrofia cerebrale e l'ipometabolismo, nonché il declino cognitivo. I livelli di β-sinucleina erano associati al deterioramento cognitivo e aumentavano gradualmente con il declino cognitivo”, hanno spiegato gli scienziati nell'abstract dello studio.

In altri termini, man mano che i neuroni muoiono e le connessioni sinaptiche si interrompono, si accumulano nel sangue livelli sempre più elevati della proteina, che rappresentano la firma biologica della progressione della malattia. Le concentrazioni nel siero cominciano ad aumentare ben 11 anni prima della comparsa dei sintomi del declino cognitivo, come la perdita di memoria. Sono di fatto i primi segni di degenerazione sinaptica, ha spiegato il professor Otto in un comunicato stampa.

“Per una persona con una mutazione, è possibile prevedere gli anni che mancano all'insorgenza dei sintomi della demenza. L'esperienza ci insegna che questo può essere calcolato sulla base dell'età in cui si sono manifestati i primi deficit cognitivi nei parenti più anziani”, ha sottolineato il neuroscienziato. Ciò, come indicato, può rappresentare una svolta nella diagnosi precoce e dunque nel trattamento della patologia. Un recente studio cinese ha evidenziato che alcuni segnali della diffusa forma di demenza possono essere colti addirittura 18 anni prima della comparsa dei sintomi; il più precoce è la proteina beta-amiloide 42 osservabile nel liquido cerebrospinale (CSF) o cefalorachidiano. I dettagli della nuova ricerca “Early increase of the synaptic blood marker β-synuclein in asymptomatic autosomal dominant Alzheimer's disease” sono stati pubblicati sulla rivista specializzata Alzheimer's & Dementia.

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