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Possibili cause e cura dell’Alzheimer identificate grazie all’Intelligenza Artificiale: lo studio

Un team di ricerca dell’Università della California di San Diego ha scoperto le possibili cause e una cura per il morbo di Alzheimer. Grazie all’IA, infatti, è stato identificato un processo che accelera la neurodegenerazione e una molecola in grado di bloccare il gene responsabile. Il farmaco candidato testato in laboratorio ha migliorato nettamente memoria e ansia.
A cura di Andrea Centini
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Le possibili cause del morbo di Alzheimer spontaneo – il più comune – e una potenziale cura sono state identificate grazie alle intuizioni degli scienziati e al fondamentale supporto dell'intelligenza artificiale (IA). Le scoperte ruotano attorno a una funzione precedentemente sconosciuta di un enzima chiamato fosfoglicerato deidrogenasi (PHGDH), il quale era stato già associato alla più diffusa forma di demenza al mondo. In parole semplici, altre indagini avevano rilevato che maggiori erano i livelli di proteine prodotti da questo gene, ovvero la sua espressione, superiore era la velocità di progressione della malattia di Alzheimer nei pazienti. Viceversa, chi ne aveva meno presentava un quadro clinico più lieve.

Nel nuovo studio è stato scoperto che il gene PHGDH può anche alterare l'attività di due geni presenti negli astrociti, cellule gliali che giocano un ruolo preziosissimo nel sistema nervoso, supportando i neuroni, proteggendo il tessuto cerebrale e ripulendo il cervello da determinate sostanze di scarto, fra le altre cose. L'alterazione negli astrociti indotta dai livelli eccessivi di PHGDH può catalizzare l'infiammazione e influenzare la rimozione dei composti da scartare, condizioni che possono spiegare come mai i pazienti con Alzheimer presentano un'espressione maggiore di questo gene. In pratica, è stata identificata una possibile causa scatenante della malattia neurodegenerativa, che entro il 2050 si stima colpirà 150 milioni di persone in tutto il mondo.

Dopo aver identificato questa possibile causa, i ricercatori si sono concentrati su molecole che potessero inibire PHGDH, ma non in modo completo, dato che il genere produce l'amminoacido serina, un neurotrasmettitore essenziale in molteplici processi biologici. Così, sempre grazie all'IA, è stato individuato un potenziale farmaco che blocca i meccanismi in grado di influenzare negativamente la funzione astrocitaria. I ricercatori hanno testato questa molecola – chiamata NCT-503 – su topi con la forma murina dell'Alzheimer e hanno osservato un significativo miglioramento dell'ansia e della memoria, due sintomi caratteristici della malattia neurodegenerativa. In un solo colpo, pertanto, potrebbero essere state identificate causa e cura della patologia.

A raggiungere questo risultato potenzialmente storico è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati dei dipartimenti di Neuroscienze e Bioingegneria dell'Università della California di San Diego, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Istituto di Ingegneria in Medicina, del Programma in Bioinformatica e Biologia dei Sistemi e della Scuola di Scienze Biologiche. I ricercatori, coordinati dal professor Sheng Zhong, come indicato hanno fatto ampio uso dell'intelligenza artificiale per raggiungere questi risultati. Dopo aver dimostrato con test su organoidi cerebrali (sia umani che murini) e sui pazienti che livelli più elevati di espressione di PHGDH erano effettivamente correlati a uno stadio più avanzato dell'Alzheimer, attraverso l'uso dell'IA hanno analizzato la struttura tridimensionale dell'enzima prodotto dal gene, evidenziando la presenza di una sottostruttura in grado di attivare i geni sugli astrociti, responsabili degli squilibri associati alla neurodegenerazione – infiammazione ed eliminazione delle scorie alterata – e dunque all'Alzheimer spontaneo.

Il passo successivo è stato la ricerca di una molecola che si legasse a quella sottostruttura per inibire l'attivazione malevola dei geni; sempre con l'IA è stata identificata NCT-503, che testata sui topi ha mostrato risultati estremamente promettenti. Chiaramente siamo ancora molto lontani da una terapia commerciale in grado di curare l'Alzheimer, tuttavia queste scoperte gettano le basi per lo sviluppo di un trattamento potenzialmente efficace, alla luce del rapporto di causa – effetto evidenziato nelle varie fasi sperimentali.

“Ora abbiamo un candidato terapeutico con efficacia dimostrata che ha il potenziale per essere ulteriormente sviluppato in test clinici. Potrebbero esserci classi completamente nuove di piccole molecole che possono essere potenzialmente sfruttate per lo sviluppo di future terapie”, ha chiosato il professor Zhong in un comunicato stampa. I dettagli della ricerca “Transcriptional regulation by PHGDH drives amyloid pathology in Alzheimer’s disease” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Cell.

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