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Perché l’Italia vieta l’ingresso di cani e gatti randagi o provenienti dai rifugi dell’Ucraina

Il divieto per prevenire la diffusione della rabbia non si applica agli animali da compagnia che arrivano nel nostro Paese al seguito dei rifugiati. LAV: “Decisione discriminatoria”.
A cura di Valeria Aiello
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L’Italia vieta l’ingresso di cani e gatti randagi o provenienti da canili e rifugi dell’Ucraina per prevenire la diffusione della rabbia nel territorio nazionale. Questi animali non potranno dunque più essere introdotti nel nostro Paese o presi in carico dalle Associazioni che si erano attivate per tentare di salvarli dai bombardamenti e i pericoli della guerra di Putin in Ucraina. La decisione fa seguito al parere richiesto dalla Direzione generale della Sanità animale e dei Farmaci veterinari del Ministero della Salute al Centro di riferimento nazionale (CRN) per la rabbia presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, che ha fornito “indicazioni circa le misure da attuare al fine di prevenire e controllare eventuali rischi per la salute sia per gli stessi profughi sia per gli animali al seguito e le altre persone presenti sul territorio nazionale” si legge in una nota.

La situazione in Ucraina

Nel 2021, l’Ucraina ha notificato al Rabies Bulletin Europe 132 casi di rabbia nei mammiferi selvatici (di cui 121 nella volpe rossa ) e 256 casi in animali domestici (di cui 109 ni cani e 130 nei gatti), con distribuzione omogenea su tutto il territorio ucraino, suggerendo “una circolazione diffusa dell’infezione nel serbatoio selvatico con frequenti episodi di spillover nei carnivori domestici” ha indicato il CRN per la rabbia.

Più recentemente, un report del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattia (ECDC) pubblicato l’8 marzo 2022, ha sottolineato la preoccupante situazione epidemiologica relativa alla rabbia in Ucraina, nell’ambito delle considerazioni operative sulla salute pubblica per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive nel contesto dell’invasione russa in Ucraina. Pertanto, sottolinea il CRN per la rabbia, gli animali provenienti dall’Ucraina devono essere considerati potenzialmente esposti ad infezione rabida nel territorio di origine.

Le leggi UE e in Italia

L’ingresso nell’Unione europea di animali da compagnia, nell’ambito della movimentazione non commerciale è disciplinato dal Regolamento UE 576/2013, che prevede che gli animali siano identificati con microchip, abbiano la vaccinazione antirabbica e titolazione degli anticorpi rabbia superiore o uguale alle 0,5 UI/ml eseguita non meno di 3 mesi antecedenti alla data di ingresso nel territorio europeo.

Al momento, le Autorità dei Paesi confinanti con l’Ucraina (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania) stanno procedendo a controllare tutti i cani e gatti in entrata nell’Unione europea e ad effettuare la vaccinazione di quelli che ne risultano sprovvisti, senza però fornire totali garanzie della immunizzazione di tutti gli animali in ingresso.

La Commissione europea, nel corso dei recenti incontri avuti con gli Stati membri, ha fatto presente che, vista l’attuale situazione di grosso disagio, per ora non prevede che nei punti di ingresso sul territorio dell’UE venga effettuata nei confronti di questi animali la quarantena o il campionamento per la ricerca degli anticorpi da effettuarsi al contrario a destinazione.

In questo scenario, la Direzione generale della Sanità animale e dei Farmaci veterinari, fermo restando la necessità di evitare ulteriori disagi ai rifugiati ucraini che fanno ingresso in Italia, ha indicato che tutti gli animali da compagnia al seguito di proprietari:

  • Qualora in possesso di microchip e certificato di vaccinazione antirabbica, vengano sottoposti a prelievo ematico per titolazione anticorpi rabbia. Vengano sottoposti ad un periodo di osservazione a destino di 3 mesi, in caso di esito positivo della titolazione, e di 6 mesi in caso di esito negativo della titolazione.
  • Qualora non in possesso di microchip e certificato di vaccinazione antirabbica, vengano sottoposti immediatamente a riconoscimento con microchip e vaccinazione antirabbica. Vengano pertanto sottoposti ad un periodo di osservazione a destino di almeno 3 mesi.
  • I cani vengano tenuti sempre al guinzaglio e provvisti di museruola, i gatti vengano tenuti in ambiente confinato durante tutto il periodo di osservazione.

La misura esclude di fatto l’ingresso nel territorio italiano di cani e gatti provenienti da rifugi o canili posti sul territorio ucraino. “A tale riguardo si fa presente che, nelle more di eventuali ulteriori indicazione da parte della Commissione europea circa le modalità di ingresso di questi animali, l’introduzione di cani e gatti ospitati nei rifugi/canili e di cani e gatti randagi avente origine Ucraina non è al momento consentita sul territorio nazionale – precisa la Direzione generale – . Tale approccio è stato confermato dalla grande maggioranza degli Stati membri sempre nelle fasi di interlocuzione con la Commissione Europea sul tema di cui trattasi”.

LAV: “Decisione discriminatoria”

Alla nota ha fatto rapidamente seguito la risposta delle Associazioni animaliste italiane e, in particolare, l’appello al Ministro della Salute Roberto Speranza della LAV che, pur condividendo l’attenzione nei confronti di questa zoonosi, ossia la trasmissione della rabbia dagli animali all’uomo, ha parlato di “decisione discriminatoria nei confronti di quattrozampe oggi sotto le bombe, e ormai senza cibo né acqua, come nel rifugio vicino Kiyv dell’italiano Andrea Cisternino, per il quale è necessario ottenere da parte del Ministro degli Esteri Di Maio un corridoio umanitario”.

La LAV chiede “un intervento per consentire l’ingresso in Italia anche di animali provenienti dal rifugio o vaganti sul territorio e di emanare disposizioni secondo le quali i citati animali possano essere introdotti da un’Associazione riconosciuta” ricordando per altro al Ministro che non tutti gli animali ucraini sono sprovvisti di vaccinazione antirabbica e che, con le dovute precauzioni, vi è la possibilità di introdurli senza rischi per la salute umana.

Negare questa possibilità di fuga dalla guerra – conclude l’Associazione – equivarrebbe a dire che persone non vaccinate contro il Covid  o che non hanno alcun documento non possono trovare asilo nel nostro Paese, mentre invece, giustamente, sia loro che i loro cani e gatti al seguito, anche senza vaccinazione antirabbica, hanno il diritto di entrare in Italia”.

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