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Perché i coccodrilli sarebbero gli unici a salvarsi da una pandemia fungina

Ricercatori australiani hanno scoperto che i coccodrilli hanno una proteina estremamente efficace contro le infezioni da funghi, una possibile candidata per nuovi farmaci antimicotici.
A cura di Andrea Centini
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Alcune proteine legate al sistema immunitario dei coccodrilli sono in grado di proteggere i possenti rettili dalle infezioni, nonostante molti vivano in un ambiente particolarmente ricco di patogeni come le acque stagnanti e paludose. La loro efficacia protettiva è straordinaria, se si considera che i coccodrilli hanno una certa tendenza a ferirsi durante le dispute tra rivali o quando vanno a caccia. Queste proteine, chiamate defensine (tecnicamente sono peptidi ricchi di cisteina), rappresentano una componente significativa della risposta immunitaria in tutte le specie animali e vegetali, ma nei coccodrilli hanno una marcia in più, in particolar modo contro le infezioni fungine, come mostrato da un nuovo studio pubblicato su Nature Communications. Esse potrebbero rappresentare la base di farmaci rivoluzionari in grado di contrastare le infezioni da funghi anche nell'uomo.

A descrivere e caratterizzare le defensine dei coccodrilli è stato un team di ricerca australiano composto da scienziati del Dipartimento di Biochimica e Chimica della Trobe University di Melbourne. I ricercatori, coordinati dai professori Marc Kvansakul e Mark D.Hulett, sono giunti alle loro conclusioni dopo essersi concentrati sulle defensine dei coccodrilli marini (Crocodylus porosus), il più grande rettile vivente che può arrivare a 6 metri di lunghezza. Hanno scoperto che una di esse, chiamata CpoBD13, era molto efficace nell'uccidere il fungo Candida albicans, “la principale causa di infezioni fungine umane in tutto il mondo”, come spiegato in un articolo di commento su The Conversation. Anche altre defensine animali e vegetali hanno dimostrato un'efficacia contro questo fungo, ma questa del coccodrillo ha un metodo unico di azione che la rendono particolarmente interessante dal punto di vista farmacologico.

“CpoBD13 può autoregolare la sua attività in base al pH dell'ambiente circostante. A pH neutro (ad esempio nel sangue) la defensina è inattiva. Tuttavia, quando raggiunge un sito di infezione che ha un pH acido più basso, la defensina viene attivata e può aiutare a eliminare l'infezione. Questa è la prima volta che questo meccanismo è stato osservato in una defensina”, hanno scritto i due coautori dello studio Scott Williams e Mark Hulett. Da questa scoperta potrebbe essere possibile mettere a punto un farmaco antimicotico innovativo in grado di contrastare i funghi patogeni. Le infezioni fungine, del resto, sono considerate una significativa minaccia alla salute pubblica, che rischia di inasprirsi a causa dell'emersione di nuovi ceppi resistenti agli antibiotici e dell'impatto dei cambiamenti climatici, in grado di favorire la proliferazione delle specie in aree precedentemente precluse.

Basti pensare al Candida auris, un fungo della famiglia dei lieviti isolato per la prima volta solo nel 2009 (nell'orecchio di una donna giapponese) e responsabile di una candidiosi invasiva e potenzialmente fatale. Anche il famigerato “fungo nero” che provoca la micidiale mucormicosi – che ha un tasso di mortalità del 50 percento – è recentemente balzato agli onori della cronaca internazionale, a causa di un aumento dei casi in associazione alla pandemia di COVID-19. Ogni anno le infezioni fungine uccidono ben 1,5 milioni di persone, i farmaci per contrastarle sono pochi e il rischio di specie resistenti – come lo stesso Candida auris – è sempre dietro l'angolo. Non c'è al momento lo spettro di una pandemia fungina, sulla falsariga di quanto raccontato nella serie televisiva The Last Of US tratta dall'omonimo videogioco, ma è certo che l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) li sta tenendo strettamente sotto controllo.

Con la ricerca su Nature gli scienziati australiani hanno gettato le basi per mettere a punto un nuovo antimicotico basato su CpoBD13, ma per vedere un nuovo farmaco sugli scaffali possono volerci fino a 20 anni di studi, tra indagini precliniche e trial clinici necessari al percorso di approvazione. I dettagli della ricerca “Crocodile defensin (CpoBD13) antifungal activity via pH-dependent phospholipid targeting and membrane disruption” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature Communications.

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