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Malattia del cervo zombie, esperto spiega rischi per l’uomo e perché è difficile combattere i prioni

La malattia del cervo zombie, causata da un prione, si sta diffondendo negli USA ed è presente anche in Europa. Per capire meglio i rischi per l’uomo, le modalità di trasmissione e le potenziali opzioni terapeutiche Fanpage.it ha intervistato il dottor Fabio Moda dell’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, un esperto di prioni umani e animali che sta collaborando con un team internazionale impegnato nello studio della patologia, mortale nel 100% dei casi.
Intervista a Fabio Moda
Esperto di prioni della Struttura Complessa di Neurologia 5 e Neuropatologia presso l'Istituto Besta di Milano
A cura di Andrea Centini
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La malattia da deperimento cronico nel cervo (CWD), soprannominata “malattia del cervo zombie” a causa della complessa sintomatologia, si sta diffondendo in modo sempre più preoccupante negli Stati Uniti, con centinaia di casi registrati tra gli animali. Recentemente è stata comunicata la segnalazione di 800 casi nel Wyoming e del primo caso in assoluto nel Parco Nazionale dello Yellowstone. La CWD è una patologia neurodegenerativa provocata da un prione, una proteina mal ripiegata in grado di trasmettere la sua anomalia alle proteine sane circostanti, determinando il danno neurologico che porta alla morte. I prioni sono responsabili di altre patologie animali, quali ad esempio l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE) – il famigerato “morbo della mucca pazza” nei bovini – e umane, quali la malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD). Queste malattie sono tutte mortali nel 100 percento dei casi e non esistono ancora terapie efficaci. Ad oggi non sono stati rilevati casi di trasmissione della CWD all’uomo, ma il rischio che la patologia possa essere trasmessa, come nel caso della BSE, non può essere escluso.

Sebbene siano balzati agli onori della cronaca internazionale i casi degli USA, la malattia del cervo zombie è presente anche in Europa, con casi segnalati in Norvegia, Svezia e Finlandia. Tra i ricercatori coinvolti in prima linea nello studio della malattia vi è anche il dottor Fabio Moda, esperto di prioni della Struttura Complessa di Neurologia 5 e Neuropatologia presso l'Istituto Besta di Milano, uno dei pochissimi in Italia a occuparsi di CWD. Fanpage.it lo ha intervistato per comprendere meglio quali sono le caratteristiche della malattia, quali sono i possibili rischi per l'uomo e le opzioni terapeutiche per combattere le malattie prioniche. Ecco cosa ci ha raccontato.

Dottor Moda, per prima cosa le chiediamo di spiegarci cosa sono le malattie provocate dai prioni e in particolar modo cos'è la malattia da deperimento cronico nel cervo che si sta diffondendo negli USA, la famigerata “malattia del cervo zombie”

Questo problema, seppur presente da molti anni, è rimasto in sordina fino alle scorse settimane. Di fatto questa malattia negli Stati Uniti è da tanto che0 c'è. In Europa è comparsa nel 2016, in Norvegia, e si è poi diffusa in Svezia e Finlandia. Le malattie da prioni sono malattie neurodegenerative che colpiscono sia l'essere umano che gli animali. La malattia da prioni animale più conosciuta è l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE) anche nota come morbo della mucca pazza. Esistono però forme che colpiscono altri animali, come ad esempio lo scrapie degli ovini, l’encefalopatia trasmissibile del visone (TME) e il deperimento cronico del cervo (CWD). La CWD è anche chiamata “malattia del cervo zombie” perché gli animali malati soffrono di scialorrea (ipersalivazione), non mangiano più e dimagriscono. La forma umana più comune è invece la malattia di Creutzfeldt-Jakob sporadica (sCJD). Da non confondersi con la sua forma variante (vCJD) che compare nell’uomo in seguito a consumo di materiale alimentare contaminato da BSE.

I prioni sono delle proteine mal ripiegate che acquisiscono proprietà tossiche, quindi queste sono malattie causate da proteine anomale. Si sentono persone che parlano di virus, batteri, ma sono tutte notizie sbagliate. I prioni sono proteine tossiche che causano queste malattie letali. Descriviamo bene questo punto. Nel cervello (umano e animale) esiste la proteina prionica, una proteina buona che ha moltissime funzioni. Per motivi ancora non ben compresi, la proteina prionica può andare incontro a un riarrangiamento strutturale e si trasforma in prione tossico. Il prione neoformato è in grado di interagire con proteine prioniche sane inducendone un simile riarrangiamento strutturale. In questo modo il prione è in grado di propagarsi sia nel sistema nervoso centrale che in organi periferici. La BSE e la CWD preoccupano perché le loro carni sono destinate al consumo umano.

Come fa questa proteina mal ripiegata a trasmettere la sua condizione a quelle limitrofe, sane, e poi a diffondersi nel cervello determinando la malattia, mortale nel 100 percento dei casi

Questo fenomeno non è ancora chiaro, non sappiamo quale sia il meccanismo che fa si che il prione porti al cambiamento conformazionale delle proteine prioniche sane. È necessario però che prione tossico e proteina prionica entrino in stretto contatto affinché questo processo si verifichi. Come le malattie da prioni, altre patologie neurodegenerative sono causate da proteine tossiche. Ad esempio, la malattia di Alzheimer è causata da ben due proteine che acquisiscono una struttura tossica: (1) la beta amiloide che si accumula in forma di placche extracellulari e la (2) proteina tau che si iperfosforila e si deposita all’interno dei neuroni. La malattia di Parkinson è invece causata da una forma tossica della proteina alfa-sinucleina. Come per i prioni, anche queste proteine, una volta trasformate nella forma tossica, sono in grado di interagire con la loro controparte normale inducendone una trasformazione tossica. Comprendere quindi i meccanismi patologici alla base delle malattie da prioni permetterà di capire meglio altre patologie neurodegenerative più comuni come appunto la malattia di Alzheimer e il Parkinson

Cosa può dirci sui rischi di trasmissione di questi prioni da carni infette?

Dati di letteratura hanno confermato la trasmissione della BSE all’uomo attraverso il consumo di cibo contaminato. Tuttavia, l'efficienza di trasmissione della BSE è risultata essere davvero molto bassa. Si consideri che tutta la popolazione inglese è stata esposta alla BSE (dal 1986, anno di comparsa della malattia), e che poche centinaia di persone hanno ad oggi sviluppato la malattia. Nel caso della CWD, non esistono ancora dati riguardanti la sua trasmissione all’uomo. Sono tuttavia in corso molti studi che stanno valutando il potenziale zoonotico della CWD che può seguire meccanismi simili a quello della BSE.

Quando scoppiò il caso della mucca pazza fu vietato il consumo di tessuto nervoso degli animali, ad esempio il cervello e la famosa coda alla vaccinara tanto apprezzata a Roma. Anche per il cervo sarebbero queste le parti a rischio?

È troppo presto per rispondere a questa domanda. Dobbiamo attendere i risultati degli studi e delle osservazioni attualmente in corso per stabilire se e cosa si dovrà fare in questo nuovo contesto. È importante sottolineare che esistono delle misure di sorveglianza molto importanti a tutela della salute umana.

Però tra gli animali (la patologia) risulta molto trasmissibile, vista anche l'esplosione di casi tra i cervi. Come suggeriscono i suoi colleghi statunitensi, un cervo malato può sbavare su una pianta, ne arriva un altro che mangia la pianta contaminata e può prendersi il prione con annessa malattia

Quello che le posso dire è che il prione è estremamente resistente all'ambiente. È quindi verosimile che il contagio tra animali avvenga in seguito a contatti di animali sani con fluidi biologici (es. saliva, urina e sangue) di animali infetti. È verosimile che il prione venga rilasciato nelle urine. Di conseguenza, se un cervo sano bruca l’erba in un punto in cui aveva precedentemente urinato un animale infetto, questo potrebbe rappresentare un metodo di trasmissione della malattia. Ricordiamoci che, come precedentemente menzionato, i prioni sono resistenti nell’ambiente e possono rimanere infettivi anche per lunghi periodi di tempo. Altra possibile fonte di contaminazione sono le rocce. Un cervo sano può leccare una roccia precedentemente leccata da un cervo malato e quindi potenzialmente contrarre la malattia. Questo supporta quindi l’ipotesi che il prione possa essere presente anche nella saliva. Qui parliamo di cervi ma la malattia si diffonde molto bene anche a renne e alci, che fanno sempre parte della famiglia dei cervidi.

Com'è possibile?

Ci sono degli studi condotti da un gruppo americano e ai quali ho collaborato che dimostrano che l’erba può contribuire alla trasmissione di malattia tra animali. Studi di laboratorio hanno confermato che le piante sono in grado di assorbire prione dal terreno. È quindi verosimile che se un cervo malato fa la pipì il prione può rimanere sia nel terreno che essere assorbito dall'erba circostante. Questo faciliterebbe la trasmissione della malattia tra cervidi. Tramite le piattaforme di amplificazione del mio laboratorio all’Istituto Besta, sto analizzando diversi tessuti, tra cui sangue e urina, per capire se contengono tracce di prione che non possono essere rilevate con le tecniche di analisi standard.

Come lo state facendo?

Al Besta ho avuto modo di sviluppare delle tecnologie analitiche ultra sensibili, chiamate appunto piattaforme di amplificazione del misfolding proteico, che sono in grado fondamentalmente di rilevare concentrazioni bassissime di questo prione in diversi tessuti umani e animali tra cui muscolo, sistema nervoso centrale, mucosa olfattiva, linfonodi, urina e sangue. Quello che è importante è che questi test, essendo così sensibili, consentirebbero di rilevare tracce di prione anche in animali clinicamente sani ma che sono in una fase di incubazione della malattia. Infatti, un aspetto importante da sottolineare è che, per quanto riguarda l'uomo, è stato dimostrato anche in parte dal mio gruppo di ricerca, che nel sangue dei pazienti con vCJD è possibile rilevare il prione con le piattaforme di amplificazione diversi anni prima della comparsa della sintomatologia clinica. Lo stesso discorso potrebbe valere per il sangue dei cervidi con CWD. Diversi studi sono ora in corso proprio per verificare la presenza di prione nel sangue di questi animali. Oltre al sangue, altro tessuto importante da analizzare sono le urine. In uno studio coordinato da me nel 2014 e pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine, ho dimostrato, per la prima volta, che le urine di pazienti con vCJD contenevano prione infettivo che poteva però essere rilevato solo con le piattaforme di amplificazione. Le urine degli cervi potrebbero essere quindi altri importanti tessuti da analizzare per diagnosticare la malattia in modo rapido e sicuro.

Qual è il “tempo di incubazione” di una malattia da prioni? (È il tempo che intercorre tra l'esposizione al patogeno e la comparsa dei sintomi NDR)

Per quanto riguarda la forma sporadica della CJD, quindi la forma che si verifica spontaneamente nell’uomo, si presume che dal momento del primo riarrangiamento strutturale della famosa proteina prionica (precedentemente citata) in prione e la comparsa dei sintomi occorrano circa 10 – 15 anni. Per quanto riguarda la forma variante della CJD, quella che compare nell’uomo in seguito all’infezione da BSE, si ha un tempo di incubazione di almeno 10 anni e in soggetti che presentano un particolare polimorfismo della proteina prionica stessa (omozigosi per metionina al codone 129). Per quanto riguarda la CWD, non esistono casi documentati di trasmissione all’uomo per cui non è possibile parlare di “tempo di incubazione”. Sono però in corso degli studi in animali per valutare il periodo che intercorre dalla loro esposizione alla CWD (considerando dose di esposizione, via di esposizione e genetica degli animali) e l’insorgere della malattia. Attualmente collaboro a un progetto con la dottoressa Sylvie L. Benestad dell’Istituto Veterinario Norvegese, che è partito a novembre dello scorso anno, dove verranno approfonditi i tempi di incubazione della CWD in renne esposte alla malattia, verrà studiata la distribuzione periferica del prione e le sue proprietà infettive. Questo progetto prevede la collaborazione di un gruppo di esperti internazionale che contribuiranno con le loro esperienze alla valutazione di tutti questi aspetti.

Tornando alla trasmissione, è abbastanza curioso immaginare questi cervi che leccano le rocce contaminate da una proteina mal ripiegata che in qualche modo riesce a trasmettersi alle altre nel cervello. Il meccanismo patologico sembra davvero peculiare

È interessante che una proteina, una volta ingerita, riesca comunque ad arrivare in qualche modo intatta all'encefalo ed esercitare poi il suo effetto tossico coinvolgendo le proteine prioniche già presenti nel tessuto. Secondo me, l'aspetto più interessante di queste malattie e anche, purtroppo preoccupante, è che a causarle è proprio una proteina. Se ci pensiamo, le proteine sono piccoli mattoni di cui siamo fatti tutti noi, di cui sono fatti i virus e anche i batteri. Per questo motivo i prioni vengono definiti agenti patogeni non convenzionali. Quello contro cui stiamo combattendo è una proteina ed è per questo che è difficile sviluppare degli approcci terapeutici efficaci.

Ci spieghi perché

Non essendo agenti patogeni che hanno una loro “vita” è difficile combatterli. I virus e i batteri hanno acidi nucleici, si replicano, vivono o sfruttano le nostre cellule per vivere. I prioni invece sono come i mattoni di una casa, non si replicano e non contengono acidi nucleici. Eppure questi mattoni, da soli, sono in grado di causare patologie gravi e letali. Non avendo quindi dei meccanismi patologici noti su cui concentrare le terapie come si fa nel caso di molte infezioni batteriche o virali, gli approcci terapeutici per le malattie da prioni si basano sull’utilizzo di composti in grado di interferire con il legame tra proteina prionica e prione per impedire quindi la propagazione di quest’ultimo. Purtroppo però tutti gli approcci terapeutici sviluppati sono falliti quando testati sull’uomo. Inoltre va considerato che non è semplice veicolare queste molecole nel sistema nervoso centrale a causa della barriera ematoencefalica. Un aspetto che reputo importante sottolineare è che questo anno è iniziato un nuovo trial farmacologico per le malattie da prioni umane, in cui molecole ad RNA vengono somministrate a livello del liquido cefalorachidiano di pazienti malati per tentare di ridurre la produzione di proteina prionica a livello del sistema nervoso centrale e quindi bloccare la propagazione prionica. L’inoculo diretto nel liquido cefalorachidano è ovviamente una procedura invasiva che permette però al composto di superare la barriera ematoencefalica citata precedentemente e di raggiungere il sistema nervoso centrale in modo efficace. Questo approccio è stato prima testato in modelli animali ed ha fornito risultati davvero promettenti ed incoraggianti. L’augurio è che gli stessi risultati possano essere osservati nei pazienti in trattamento.

È chiaro però che un approccio del genere, basato sull'eliminare le proteine sane dal cervello, possa avere degli effetti collaterali significativi

Negli animali trattati non sono stati riportati eventi avversi. Tuttavia, questa sperimentazione è appena partita e avremo modo di capire nel tempo se e quali saranno gli eventuali effetti collaterali del trattamento nell’uomo. È probabile che in seguito alla riduzione della proteina prionica ci siano altre proteine in grado di sopperire ad alcune sue funzioni. Ma nell'uomo non è mai stato tentato un approccio simile per cui è presto per rispondere a questa domanda.

Ma teoricamente è pure possibile che magari, fra 10 anni, quelli che hanno mangiato i cervi malati possano sviluppare la condizione

Non possiamo escluderlo. Come osservato per la BSE, andranno valutati diversi fattori sia relativi al prione sia relativi all’ospite infettato (uomo) per stabilire se e in quanto tempo le persone esposte alla CWD abbiano probabilità di sviluppare la malattia. Voglio andare molto cauto su questo punto, ma escludere la possibilità di una potenziale trasmissione della CWD all’uomo non sarebbe scientificamente corretto. Molti studi sono ancora in corso e molte risposte le avremo presto. Come già specificato, attualmente non esistono casi documentati di trasmissione. Le misure di sorveglianza, controllo e prevenzione messe in atto a livello Europeo sono davvero molto efficaci per tutelare la salute umana.

Però negli USA dicono che il problema principale sono i cacciatori che vanno a caccia di questi cervi. C'è un contatto continuo con questi animali, è stato visto anche col coronavirus SARS-CoV-2 che è stato diffuso nelle popolazioni di cervidi. I suoi colleghi statunitensi dicono che dovrebbero essere introdotte “pratiche di caccia responsabili” per prevenire il rischio. Ma poi effettivamente questa cosa non succede, anche perché non sempre questi controlli vengono fatti. Basti pensare ai cacciatori che si portano a casa il cervo appena ucciso e se lo mangiano

Questo può essere un problema, sì, perché magari il cacciatore può cacciare un cervo giovane, malato ma ancora senza sintomi. Il consumo di cibo derivante da questo animale apparentemente sano espone ovviamente i cacciatori alla CWD. È quindi cruciale seguire delle pratiche di caccia responsabili. Ci tengo a precisare che, a differenza dei virus, il prione non si trasmette per via aerea. Quindi le fonti di contagio più plausibili per i cacciatori sono sia l’ingestione di cibo ottenuto da animali malati ma anche il verificarsi di incidenti (es. ferite di caccia) che li espongano a diretto contatto con il sangue infetto, o qualsiasi altro tessuto infetto – specialmente il sistema nervoso centrale – dell’animale. A conclusione della nostra intervista ci tengo a precisare che il prione può essere distrutto o con metodo chimico – con candeggina o soda caustica – o con le temperature elevate. Ma non sono quelle classiche dell'autoclave di 121 °C perché il prione ha bisogno di più gradi. Il prione viene distrutto a 134 °C. Questo ci aiuta a comprendere perché questa proteina sia così resistente nell’ambiente.

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