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La Gioconda di Leonardo da Vinci nasconde un altro segreto: la plumbonacrite

Si tratta di un composto chimico che si è formato dalla reazione tra la pittura ad olio e l’ossido di piombo, individuato nel primo strato del dipinto: la scoperta conferma la volontà del genio del Rinascimento italiano di sperimentare, anticipando di secoli quanto fecero artisti come Rembrandt.
A cura di Valeria Aiello
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La Gioconda (o Monna Lisa), il capolavoro più famoso di Leonardo da Vinci, nasconde un segreto che potrebbe aver contribuito alla sua conservazione: nel primo strato del dipinto, il genio del Rinascimento italiano ha utilizzato una miscela unica di olio e ossido di piombo, che ha determinato la formazione di un raro composto, chiamato plumbonacrite.

Lo rivelano le analisi condotte da un team di esperti del Centro nazionale della ricerca scientifica francese (CNRS) su un eccezionale minuscolo campione dello strato inferiore del dipinto, precedentemente ottenuto da un angolo nascosto della Gioconda. Allo studio hanno partecipato anche il Laboratorio europeo delle radiazioni al sincrotrone (ESRF), il Museo del Louvre e il Ministero della Cultura francese.

Sotto la Gioconda c'è un mix unico di olio e ossido di piombo

Enigmi e misteri che circondano le opere di Leonardo hanno portato gli scienziati ed esperti a setacciare i suoi scritti e i suoi lavori alla ricerca di indizi che potessero documentare la sua capacità di unire arte e scienza: agli inizi del 1500, molti dipinti, tra cui appunto la Gioconda, venivano realizzati su tavole di legno che richiedevano uno “spesso strato di fondo” prima che si potesse dipingere sopra.

Ma mentre altri artisti usavano tipicamente il gesso, i ricercatori hanno scoperto che Da Vinci sperimentò anzitempo l’uso di spessi strati di bianco di piombo (biacca) e di una miscela unica di olio e ossido di piombo (litargirio), un pigmento arancione in grado di accelerare i tempi di essicazione della pittura.

Secondo gli studiosi, Leonardo tentò di preparare una pittura densa, adatta a coprire la tavola della Gioconda, trattando l’olio con un grande quantità di ossido di piombo, e impiegò una tecnica simile anche sulla parete sotto L’Ultima Cena, come emerso dalle analisi di alcuni microcampioni ottenuti da tutta la superficie dell’affresco di Milano, contenenti grani intatti di ossido di piombo. Tuttavia, utilizzando la diffrazione dei raggi X e tecniche di spettroscopia infrarossa, i ricercatori hanno rilevato la presenza di un altro raro composto, la plumbonacrite.

La plumbonacrite nello strato inferiore della Gioconda

La caratteristica più notevole del campione – spiegano i ricercatori in un articolo pubblicato sul Journal of the American Chemical Societyè la presenza di plumbonacrite, un composto raro che è stabile solo in un ambiente alcalino”. Mai identificata nei dipinti di quell’epoca, la plumbonacrite si sarebbe formata dalla reazione tra l’olio e l’ossido di piombo, fornendo la dimostrazione che gli ossidi di piombo avevano un posto nella tavolozza di Leonardo e potrebbero aver contribuito a creare anche altri suoi dipinti, anticipando di secoli quanto fatto da artisti come Rembrandt.

Nel 2019, la plumbonacrite è stata infatti rilevata nei dipinti di Rembrandt, il maestro olandese del XVII secolo: nel suo caso, il composto venne utilizzato come impasto sulle sue tele, al fine di accentuare la sensazione del chiaroscuro. “Rembrandt ci ha messo sulla pista giusta – ha rivelato la coautrice dello studio, Marine Cotte che lavora all’ESRF di Grenoble –  . Abbiamo pensato che valesse la pena rianalizzare i dipinti su cui stavamo lavorando, per verificare se anche questi contenessero lo stesso composto”.

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