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Il problema degli psicofarmaci tra gli adolescenti, la psicoterapeuta: “È l’onda lunga della pandemia”

Valentina Calcaterra, presidente dell’associazione Telemaco: “L’adolescenza è un momento di crisi fisiologico, ma la pandemia ha interrotto i normali processi di crescita”.
Intervista a Valentina Calcaterra
Psicoterapeuta e presidente dell'associazione Telemaco di Jonas Milano
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Dal 2016 a oggi l'impiego di psicofarmaci nei bambini e negli adolescenti è più che raddoppiato. Lo ha evidenziato il Rapporto OsMed 2024 sull’uso dei medicinali in Italia, realizzato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), i cui risultati sono stati appena pubblicati. Sebbene parliamo di un consumo ancora limitato, soprattutto se confrontato con quanto accade in molti altri Paesi, sia all'interno che fuori l'Unione europea, si tratta comunque di un dato significativo, indice dell'aumento delle condizioni psichiche tra i più piccoli, come ansia e depressione, soprattutto negli adolescenti, dovuto anche all'effetto post-pandemia.

"Dal 2016 sono più che raddoppiati sia la prevalenza d’uso che i consumi di psicofarmaci", si legge nel report di Aifa. Siamo passati infatti da una prevalenza dallo 0,26%, ovvero un consumo di 20,6 confezioni per 1000 bambini, nel 2016, a 59,3 confezioni per 1000 bambini nel 2024 (prevalenza dello 0,57%). La fascia anagrafica in cui si registrano i consumi maggiori sono proprio gli adolescenti, soprattutto tra i 12 e i 17 anni: tra questi i dati più recenti riferiscono infatti un consumo di 129,1 confezioni per 1000 e una prevalenza dell’1,17%. Gli psicofarmaci più spesso prescritti durante l'infanzia e l'adolescenza sono antipsicotici, antidepressivi e farmaci per l’ADHD.

Secondo l'Aifa l'aumento delle prescrizioni di queste categorie di farmaci è in linea con con il generale aumento del consumo di psicofarmaci, registrato in tutti i Paesi del mondo, soprattutto dopo la pandemia. Valentina Calcaterra, psicologa e psicoterapeuta, è presidente di Telemaco di Jonas Milano, associazione specializzata nell'utilizzo dello psicoanalisi per offrire supporto ai giovani e alle famiglie. A Fanpage.it ha spiegato come leggere questi dati e cosa ci dicono del benessere psicologico degli adolescenti.

Cosa può aver causato questo aumento delle prescrizioni di psicofarmaci negli adolescenti?

È un discorso complesso. Da una parte questo dato rivela una sorta di onda lunga della pandemia, che ha creato delle condizioni di crescita molto particolari per gli adolescenti. Dall'altra, dobbiamo considerare anche l'impatto delle cosiddette nuove dipendenze digitali, come quella da internet o dai social, i cui effetti iniziano a essere visibili solo adesso, perché prima non c’erano.

Partiamo dal primo motivo. A quali condizioni fa riferimento?

L'adolescenza è quel periodo della vita in cui i ragazzi iniziano a rivolgersi più verso il mondo esterno che a quello familiare. Essere stati costretti, per motivi ovviamente validi, a rimanere chiusi in casa, lontano dai loro coetanei, proprio nel momento in cui il naturale processo di crescita li avrebbe dovuti portare fuori, ha creato una sorta di adolescenza interrotta.

Perché è così importante "uscire" dal contesto familiare per un adolescente?

Esplorare il mondo esterno alla propria famiglia d'origine è fondamentale per permettere all'adolescente di avviare quello che in psicologia viene definito il processo di separazione e individuazione. Per accedere al proprio desiderio, capire chi si è e chi si vuole diventare, è necessario mettere in discussione le aspettative dei genitori e le certezze dell’infanzia.

L'adolescenza è di per sé una fase di crisi, quindi il fatto che ci sia un’evoluzione nel rapporto con la famiglia non è solo fisiologico ma anche necessario. Direi che se una persona non vive nessun momento di turbolenza durante l'adolescenza sta saltando questa fase della vita e di solito questo presenta il conto prima o poi.

Come si fa a capire se queste turbolenze sono fisiologiche o nascondono altro?

Il fatto che ci siano delle turbolenze non significa che ci sia qualcosa che non va nell'adolescente. Diverso è se questa turbolenza diventa molto intensa: allora potrebbe nascondere un vero disagio. Non è facile capire in quale delle due situazioni siamo, perché  l'adolescenza è una fase molto delicata per tutta la famiglia. Anche i genitori fanno fatica a gestire questo passaggio, che implica una ridefinizione del loro ruolo: da punto di riferimento a figura più sullo sfondo.Ma questo non significa che tutto quello che accade in adolescenza sia per forza un sintomo che necessita di una diagnosi.

Ma potrebbero aver influito anche altri fattori?

Queste condizioni anomale potrebbero aver agito anche da detonatore per un disagio preesistente, ma esploso con la pandemia.

Le nuove dipendenze digitali come potrebbero aver influito?

Non possiamo negare che soprattutto i social potrebbero aver avuto un impatto sullo sviluppo degli adolescenti, soprattutto perché la pandemia ne ha incentivato moltissimo l’uso: per molti mesi hanno infatti rappresentato l’unico modo per comunicare con amici e coetanei fuori dal contesto familiare.

Ma la soluzione non è demonizzarli. Dobbiamo piuttosto aiutare i ragazzi a riflettere e a fare un uso consapevole dei social e dei dispositivi, partendo da noi stessi, evitando di utilizzare questi strumenti, ad esempio, per geolocalizzare o spiare i nostri figli. Dare dei limiti può essere utile, ma deve sempre accompagnarsi a un reale lavoro di dialogo tra ragazzi, famiglia e scuola.

Come questo insieme di fattori potrebbe aver contribuito all'aumento delle prescrizioni di psicofarmaci, soprattutto per disturbi d'ansia e depressione?

Sicuramente c'è un reale aumento del malessere psicologico. Qui entra in gioco il contesto sociale in cui questi ragazzi stanno crescendo: viviamo in una società che punta alla performance, dove l’errore e il fallimento non sono tollerati.

L’adolescenza, invece, è per definizione il momento in cui si sperimenta: a volte per trovare la strada giusta è necessario sbagliare. Ma oggi i ragazzi risentono del peso delle aspettative di una società che non contempla più l'errore. Queste pressioni possono tradursi in un aumento di sintomi di ansia e depressione. Ma dietro l'aumento delle prescrizioni c'è anche un altro fenomeno.

Quale?

Oggi il mondo adulto fa fatica ad approcciarsi al disagio adolescenziale e cerca subito di dargli un nome. Mi spiego meglio: appena c'è un sintomo di disagio, le scuole e soprattutto la famiglia si allarmano e cercano una soluzione. Da una parte questo è positivo, perché ci permette, rispetto al passato, di intercettare prima i sintomi. Dall'altra, però, questa ricerca di risposte immediate si traduce in una ricerca di diagnosi e soluzioni, spesso farmacologiche.

E questo non è un bene?

In parte lo è, ma può avere dei limiti perché non dobbiamo dimenticare che il sintomo non è il vero problema, ma il modo in cui si manifesta. Gli psicofarmaci possono quindi essere utili a ridurre i sintomi, ma non risolvono la causa che li ha generati.

La diagnosi inquadra il disagio, ma non ci racconta chi è la persona né come vive quel disagio. In un'ottica psicoanalitica, invece, il sintomo – ansia o depressione – ha un valore e non va immediatamente cancellato, perché ci comunica qualcosa di più profondo.

Qual è quindi l'approccio migliore?

L'utilizzo degli psicofarmaci va sempre valutato molto attentamente e solo all’interno di una visione più ampia, anche perché non ci sono molti studi sui loro effetti negli adolescenti. Possono essere utili per ridurre il livello di ansia e angoscia, ma è fondamentale affiancarli alla psicoterapia. Non vanno mai intesi come soluzione unica, altrimenti si rischia di fermarsi alla diagnosi senza affrontare il significato profondo del disagio e quindi risolverlo davvero.

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