Il modo in cui guidi può predire il rischio di declino cognitivo, secondo uno studio

Ricercatori statunitensi hanno determinato che il comportamento alla guida può indicare la presenza di declino cognitivo, che è sintomo e segnale precursore delle forme di demenza come il morbo di Alzheimer. Tra le abitudini al volante correlate al declino cognitivo vi sono guidare sempre meno, fare continuamente gli stessi percorsi (semplici e famigliari), ridurre gli spostamenti di notte e superare i limiti di velocità. Chiaramente possono esserci molte ragioni per cui ci si può comportare in questi modi; ad esempio c'è chi prende la macchina solo per fare il tragitto casa – lavoro e sappiamo bene che in tanti non rispettano il codice della strada, tuttavia queste azioni sono risultate "sibilline" grazie a un elegante esperimento ad hoc. In parole semplici, hanno seguito una sessantina di anziani con diagnosi di declino cognitivo lieve per circa tre anni, installando sui loro veicoli un dispositivo GPS in grado di tracciare percorsi e altri parametri alla guida. Dall'analisi di questi dati è emersa una forte correlazione tra i sopracitati comportamenti e il deterioramento del declino cognitivo. È una scoperta importante anche per la sicurezza pubblica, dato che questa condizione può aumentare sensibilmente il rischio di incidenti stradali.
A condurre lo studio è stato un team di ricerca guidato da scienziati del Dipartimento di Neurologia della Brown School of Social Work dell'Università di Washington a St. Louis, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dei dipartimenti di Medicina e Biostatistica. I ricercatori, coordinati dal professor Ganesh M. Babulal, hanno coinvolto nello studio 56 persone con diagnosi di declino cognitivo lieve e altre 242 senza problemi cognitivi; l'età media era di 75 anni, in leggera maggioranza erano uomini (donne 45,6 percento) e tutte guidavano almeno una volta a settimana al basale. Gli anziani erano iscritti al progetto Driving Real-World In-Vehicle Evaluation System (DVR) dell'Università di Washington.
I ricercatori, dopo aver sottoposto tutti al testo cognitivo standardizzato Clinical Dementia Rating (CDU) e a screening genetici per la presenza del gene APOE ε4 (legato a un rischio superiore di demenza), hanno iniziato a raccogliere dati sulla frequenza e sul tipo degli spostamenti, su orari, velocità, frenate brusche e altri parametri di tracciamento grazie ai dispositivi GPS installati sulle auto. È interessante notare che all'inizio dello studio (di coorte prospettico) sia gli individui con declino cognitivo lieve che quelli sani avevano comportamenti simili, ma gli anziani del primo gruppo, col passare del tempo, hanno tendenzialmente iniziato a ridurre i viaggi e gli spostamenti notturni, hanno semplificato i percorsi e aumentato la velocità, superando i limiti.
Inserendo i dati su distanze, orari, frequenza di spostamenti, velocità e altro ancora in un apposito software, i ricercatori erano in grado di distinguere con una precisione dell'82 percento le persone con declino cognitivo da quelle sane. Se a questi comportamenti alla guida si aggiungevano anche dati su età, genere, presenza di geni legati all'Alzheimer, i punteggi dei test cognitivi e altri parametri, l'accuratezza nel determinare chi aveva declino cognitivo e chi no saliva all'87 percento. Senza usare i dati sulle abitudini di guidare, la precisione predittiva scendeva al 76 percento.
“Abbiamo scoperto che utilizzando un dispositivo di tracciamento dati GPS, potevamo determinare con maggiore accuratezza chi aveva sviluppato problemi cognitivi rispetto a considerare solo fattori come l'età, i punteggi dei test cognitivi e la presenza di un fattore di rischio genetico correlato al morbo di Alzheimer”, ha affermato in un comunicato stampa il professor Babulal. “Osservare il comportamento di guida quotidiano delle persone è un modo relativamente poco invasivo e poco oneroso per monitorare le capacità cognitive e la capacità funzionale delle persone”, ha aggiunto lo scienziato, specificando che questo “potrebbe aiutare a identificare precocemente i conducenti a rischio per un intervento tempestivo, prima che abbiano un incidente o una quasi collisione, che è spesso ciò che accade ora”. L'esperto ha concluso evidenziando l'importanza del rispetto dell'autonomia, della privacy e del processo decisionale informato delle persone, al fine di "garantire il rispetto degli standard etici".
Secondo i dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ci sono circa 44 milioni di persone nel mondo affette da Alzheimer e questo dato triplicherà entro il 2050 a causa dell'invecchiamento della popolazione. Poter identificare per tempo le persone a rischio anche valutando il comportamento alla guida è sicuramente uno scenario interessante, tuttavia, come spiegato dagli autori del nuovo studio, un monitoraggio del genere avrebbe implicazioni etiche da non sottovalutare. I dettagli della nuova ricerca “Association of Daily Driving Behaviors With Mild Cognitive Impairment in Older Adults Followed Over 10 Years” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica specializzata Neurology.