video suggerito
video suggerito

Francesco Rubino, il chirurgo italiano che ha cambiato la cura dell’obesità: “Non dipende solo dalla dieta”

Francesco Rubino dirige il dipartimento di dipartimento di Chirurgia metabolica e bariatrica al King’s College: è uno dei due italiani che il Time ha inserito nell’elenco delle 100 persone più influenti nel campo della salute del 2025. A Fanpage.it ha raccontato il suo percorso e il lavoro che lo ha portato, insieme ad altri 55 esperti da tutto il mondo, a stabilire i criteri per una nuova diagnosi dell’obesità.
Intervista a Prof. Francesco Rubino
Responsabile del dipartimento di Chirurgia metabolica e bariatrica del King's College di Londra
0 CONDIVISIONI
Foto di Francesco Rubino
Foto di Francesco Rubino

Sulla copertina del Time100 Health 2025, il numero della rivista statunitense dedicato alle cento personalità più influenti di questo anno nell'ambito della salute, c'è il volto di Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Tra gli altri 99 nomi ce ne sono anche due italiani. Francesco Rubino è uno di questi (insieme a Lorenzo Guglielmetti per il suo lavoro nell'individuazione di tre nuove terapie farmacologiche orali per il trattamento della tubercolosi resistente alla rifampicina).

Oggi Rubino è responsabile del dipartimento di Chirurgia metabolica e bariatrica al King's College di Londra, dopo aver ottenuto nel 2014, a soli 43 anni, la prima cattedra universitaria al mondo in Chirurgia bariatrica e metabolica per il trattamento del diabete, sempre presso la stessa università, una delle migliori del Regno Unito.

Cinquantatré anni di cui 25 vissuti da medico, nato a Cosenza, si laurea all'Università Cattolica di Roma, ma è fuori dall'Italia che si specializza e raggiunge i suoi più grandi successi. Uno dei più significativi: aver guidato per quattro anni la Lancet Commission – una commissione di 56 esperti da tutto il mondo – che ha definito per la prima volta i criteri per la diagnosi di obesità clinica e obesità pre-clinica. Un grande onore anche per l'Italia, certo, che però anche questa volta, come spesso accade, festeggia i suoi cittadini illustri da lontano. A Fanpage.it il professore Francesco Rubino ha raccontato la sua storia e cosa lo ha portato a lasciare l'Italia.

Origini calabresi, laurea all"Università Cattolica di Roma e poi le prime esperienze all'estero, da cui non è più tornato. Si considera un cervello in fuga?

Quello che è capitato a me penso che capiti o sia capitato a molti. Quando hai una passione, segui le opportunità che ti consentono di portarla avanti, di coltivare le tue aspirazioni professionali. A me è successo questo: purtroppo le opportunità in Italia non erano altrettanto valide e se ho potuto raggiungere certi risultati nella mia carriera prima piuttosto che dopo è perché ci sono state queste opportunità all'estero.

In Italia non c'erano?

Il punto è che l'Italia – almeno era così quando me ne sono andato – tende a dare meno spazio ai giovani. Non solo nella medicina, anche in altri settori. Ma è quando si è giovani che si hanno tante idee, tante energie e non poterli capitalizzare può generare una forte frustrazione. Purtroppo l'Italia ha questo problema cronico. Poi ovviamente ci sono i percorsi individuali di persone che hanno fatto benissimo a restare in Italia, perché hanno avuto le loro opportunità qui, il mio è più un discorso sistemico.

Quindi è più un problema di tempistiche che di qualità?

L'Italia rimane un Paese all'avanguardia in tante cose, soprattutto nella sanità. Anche se molto spesso i miei connazionali si lamentano, dopo aver sperimentato quattro sistemi sanitari diversi, sia da dentro come professionista che da fuori come cittadino, posso dire che il sistema sanitario italiano, con tutti i suoi difetti, garantisce delle cose che all'estero non sempre lo sono. Penso che gli italiani potrebbero essere più contenti e orgogliosi die quello che hanno.

Tra i suoi piani c'è anche il progetto di tornare? 

È sempre un discorso di opportunità: io sarei ben felice se potessi fare in Italia quello che faccio all'estero. Quindi, sì, se ce ne fosse l'opportunità, a queste condizioni, tornerei volentieri.

Cosa ha provato quando ha saputo della nomina del Time?

Chiaramente è una grande soddisfazione, come sempre quando altri riconoscono il merito del proprio lavoro, soprattutto quando questo riconoscimento arriva dal di fuori del settore specifico in cui lavori. Ma la ragione per cui sono particolarmente orgoglioso è che questo titolo premia certo me e il mio ruolo di guida in questo lavoro, ma premia anche il lavoro di altre 55 persone che hanno lavorato per quattro anni a questo progetto.

In passato ha detto che agli inizi del suo percorso non pensava che si sarebbe occupato di obesità. È davvero così?

È vero, agli inizi della mia carriera non era interessato a occuparmi di obesità, soprattutto dal punto di vista chirurgico, perché, sono sincero, come tanti anche nel nostro campo, ero ancora convinto che l'obesità fosse in sostanza una conseguenza di un stile di vita da correggere, un'alimentazione sbagliata o con poca attenzione all'esercizio fisico. Di conseguenza pensavo che la soluzione non sarebbe mai stata medica, né soprattutto chirurgica. Pensavo che bastasse dire alle persone di mangiare meno, fare un po' più esercizio e la cosa si sarebbe risolta.

Invece non è così?

Purtroppo è un problema molto comune, anche nelle scuole di medicina non si insegna che la regolazione del peso, e quindi anche l'obesità, ha una sua biologia, non dipende soltanto dalla volontà della persona. Quindi è molto difficile che una persona, soprattutto con un peso elevato, riesca a perdere peso soltanto con le proprie scelte.

Poi cosa le ha fatto cambiare idea?

Ero in America per occuparmi di altro, per specializzarmi in alcune tecniche mini-invasive di chirurgia, ma dato che in quel dipartimento si effettuavano anche interventi di chirurgia dell'obesità, ho visto con i miei occhi pazienti entrare il venerdì in sala operatoria con il diabete e uscire dall'ospedale il lunedì guariti. Questo mi ha fatto capire che questi interventi chirurgici riuscivano a produrre questi risultati perché stavano alterando qualche meccanismo biologico collegato proprio all'obesità o al diabete.

Ed è quello che abbiamo infatti riscontrato con le nostre ricerche. A quel punto era chiaro che ci fosse un legame tra la fisiologia dell'intestino e l'obesità e il diabete. Di fronte a questa nuova consapevolezza gli interventi chirurgici per trattare queste patologie assumevano tutto il senso medico possibile.

Ora cosa è cambiato? 

Il lavoro della commissione ha permesso di trovare dei criteri per stabilire quando l'obesità è una malattia e quando invece è semplicemente un fattore di rischio, perché è chiaro che trattare un fattore di rischio piuttosto che una malattia in atto sono due cose profondamente diverse. Questa differenza è molto importante perché ci sono persone con obesità che mostrano tutti i segnali di una malattia già presente, ma ce ne sono altre, che pur avendo una situazione di obesità, magari moderata, riescono a conviverci relativamente bene senza problemi di salute.

Lei il suo sogno lo ha realizzato. Secondo lei qual è l'ostacolo più grande che una ragazza o un ragazzo che vogliono fare il suo stesso lavoro potrebbero incontrare lungo la strada?

Gli ostacoli possono esserci in qualsiasi momento, cambiano con il passare degli anni e con l'evolversi delle situazioni. Ovviamente la situazione di adesso è diversa rispetto a qualche anno fa, ci sono nuove tecnologie che pongono delle sfide diverse. Penso ad esempio all'introduzione dell'intelligenza artificiale, forse ci saranno specializzazioni mediche che ne avranno un certo beneficio ed altre che magari non saranno più così necessarie come prima.

Sono tutte domande aperte, tutte cose che, purtroppo o per fortuna, cambieranno nei prossimi anni e quindi ci sarà bisogno di essere sempre pronti a ad affrontare le sfide del momento, non quelle del passato. Non bisogna guardare a ciò che era prima, ma al presente e al futuro.

Se potesse dare un consiglio per superarli? 

L'unica cosa che posso dire è che se una persona segue la sua passione, qualsiasi ostacolo possa incontrare nel suo percorso, in qualche modo si trova la maniera di superarlo. Il vero problema nasce quando la passione non è genuina, allora è più facile arrendersi, deprimersi e alla fine mollare. Quindi credo, per rispondere alla sua domanda, la sfida più difficile è capire se effettivamente quello che stai facendo lo fai per passione. Se è davvero così, non ci devi pensare più, impegnati e basta.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
0 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views