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Enorme pesce sega spiaggiato in Sudafrica, si credeva estinto localmente: forse ucciso da un’orca

Durante una passeggiata su una spiaggia dell’Eastern Cape (Sudafrica) un uomo si è imbattuto nella carcassa di un grande pesce sega, in pessimo stato di conservazione. Si tratta di un ritrovamento storico perché la specie si riteneva ormai estinta localmente. L’animale è stato ucciso da un grande predatore marino, forse un’orca.
A cura di Andrea Centini
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Il pesce sega recuperato sulla spiaggia sudafricana. Credit: Kevin Cole
Il pesce sega recuperato sulla spiaggia sudafricana. Credit: Kevin Cole

La carcassa di un grande pesce sega è stata trovata lungo una spiaggia della regione costiera sudafricana di Eastern Cape Beach, caratterizzata da spettacolari arenili affacciati sull'Oceano Indiano. L'animale, lungo circa 3 metri, era adagiato su una spiaggia a sud della foce del fiume Birah. A notarlo durante una passeggiata un uomo che vive nella zona, il signor Mike Vincent, che alla luce delle peculiarità del pesce ha immediatamente contattato il dottor Kevin Cole, un naturalista dell'East London Museum. Si tratta di un famosissimo museo che ospita anche il celacanto, un pesce “fossile vivente” – con pinne lobate simile a un arto – ritenuto estinto 66 milioni di anni fa e scoperto nel 1938 da Marjorie Courtenay-Latimer, che era curatrice della struttura. Trovarlo fu una vera rivoluzione per la scienza. Ma torniamo al pesce sega.

Dopo aver visionato le immagini il dottor Cole ha immediatamente capito che aveva a che fare con un ritrovamento dal valore storico. Lungo le coste del Sudafrica del Capo Orientale, infatti, non veniva visto un pesce sega dal 1999, da quando un esemplare rimase intrappolato in una rete per tenere alla larga gli squali innanzi alla costa KwaZulu-Natal. L'animale fu liberato e poi non si seppe più nulla per 26 anni. Gli scienziati ritenevano che quello fosse uno degli ultimi esemplari viventi in loco e che oggi fossero estinti, sebbene servano 50 anni di mancati avvistamenti per formalizzare un'estinzione, anche locale.

Nelle acque sudafricane sono presenti due specie di pesci sega: il pesce sega verde o “lungopettine” (Pristis zijsron) e il pesce sega comune, conosciuto all'estero anche come pesce sega dai denti grandi (Pristis pristis). Il dottor Cole ritiene che l'esemplare trovato sulla spiaggia di Eastern Cape appartenga alla seconda delle due specie.

I pesci sega o pristidi (Pristidae) sono pesci cartilaginei come gli squali, le razze e le chimere; pur avendo un aspetto da squalo, sono strettamente imparentati con le razze, che vengono richiamate dalla struttura cefalica e dalle ampie pinne pettorali “ad ala”. La caratteristica distintiva delle specie appartenenti a questa famiglia, tuttavia, è il lunghissimo rostro cefalico costellato da scaglie placoidi che dona il nome comune a questi pesci. Le scaglie acuminate arrivano a diversi centimetri di lunghezza e vengono utilizzate dai pesci sia per scavare nella sabbia che come armi micidiali per colpire le prede di cui si nutrono.

Anche se in genere non superano i 3 metri, gli esemplari più grandi di pesce sega comune possono arrivare quasi a 8 metri di lunghezza, quanto un globicefalo. Vivono lungo la costa e negli estuari, talvolta possono anche risalire i fiumi, come fanno alcune specie di squalo. Si tratta di animali fortemente minacciati, tanto che sono classificati come in pericolo critico di estinzione (codice CR) nella Lista Rossa dell'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). Anche per questo il ritrovamento dell'esemplare a Eastern Cape è considerato molto significativo.

La carcassa dell'esemplare spiaggiato era in pessime condizioni e, come spiegato a IFLScience dal dottor Cole, probabilmente è stato attaccato da un predatore in mare, forse da un'orca. Ricordiamo che in Sudafrica due esemplari maschi di orca, Port e Starbord, stanno facendo strage di squali per nutrirsi del loro fegato; non ci sarebbe da sorprendersi se anche lo sventurato pesce sega fosse finito nel mirino dei mammiferi marini. Il dottor Cole ha spiegato che la carcassa non è stata sottoposta a tampone, quindi per capire il potenziale “aggressore” si dovranno valutare solo le immagini fotografiche. Resta comunque un'importantissima scoperta dal punto di vista della conservazione marina in Sudafrica, che sottolinea l'importanza di proteggere i delicati habitat costieri.

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