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Enorme deposito d’acqua scoperto su Marte: “Simile a permafrost sulla Terra”

Grazie alla sonda ExoMars Trace Gas Orbiter (TGO) è stato identificato un enorme deposito d’acqua su Marte, nel cuore del canyon delle Valles Marineris.
A cura di Andrea Centini
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Una enorme quantità d'acqua è stata identificata nel cuore di un colossale sistema di canyon su Marte. L'acqua si trova appena al di sotto della superficie polverosa del Pianeta Rosso, probabilmente sotto forma di ghiaccio, distribuita in un modo non dissimile dagli strati di permafrost sulla Terra. Si tratta di una scoperta straordinaria poiché questo immenso deposito è stato individuato nelle Valles Marineris, che si trovano poco al di sotto dell'equatore marziano. È noto da tempo che grandi depositi di ghiaccio sono presenti ai poli o nei pressi di essi, tuttavia sono luoghi difficilmente accessibili da una futura missione di esplorazione umana; tuttavia il gigantesco canyon – dieci volte più lungo, venti volte più largo e cinque volte più profondo del Grand Canyon in Arizona, Stati Uniti – è in un ambiente con condizioni decisamente più favorevoli. Poiché dall'estrazione di acqua si possono ottenere ossigeno e carburante per le navi spaziali, sapere che nelle Valles Marineris (grande quanto i Paesi Bassi) potrebbe esserci ghiaccio facilmente raggiungibile è un'informazione preziosissima per mettere a punto le future missioni su Marte.

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A scoprire le grandi quantità di acqua nel suolo di Marte è stato un team di ricerca internazionale composto da scienziati dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA) e dell'Istituto di Ricerca Spaziale dell'Accademia Russa delle Scienze. I ricercatori si sono avvalsi degli “occhi” della sonda Trace Gas Orbiter (TGO), il modulo principale della missione ExoMars gestita dall'ESA e dalla ROSCOMOS, l'agenzia spaziale russa. Nello specifico, il deposito di acqua è stato identificato dallo strumento FREND (Fine Resolution Epithermal Neutron Detector), un rilevatore di neutroni che è in grado di captare i segnali della presenza dell'idrogeno fino a un metro di profondità sotto la superficie, ben dieci volte in più rispetto a quanto potevano fare le sonde lanciate prima del TGO.

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“Con TGO possiamo guardare fino a un metro al di sotto di questo strato polveroso e vedere cosa sta realmente accadendo sotto la superficie di Marte e, soprattutto, individuare ‘oasi' ricche di acqua che non potevano essere rilevate con gli strumenti precedenti”, ha dichiarato in un comunicato stampa il dottor Igor Mitrofanov, autore principale dello studio e ricercatore capo dello strumento. “FREND ha rivelato un'area con una quantità insolitamente grande di idrogeno nel colossale sistema di canyon delle Valles Marineris: supponendo che l'idrogeno che vediamo sia legato alle molecole d'acqua, fino al 40 percento del materiale vicino alla superficie in questa regione sembra essere acqua”, ha aggiunto lo scienziato.

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I ricercatori hanno analizzato i dati sui neutroni raccolti dallo strumento tra maggio del 2018 e febbraio 2021, identificando il grande deposito proprio nel cuore dell'enorme canyon marziano. Come specificato dal coautore dello studio Alexey Malakhov, quando i raggi cosmici colpiscono la superficie marziana vengono emessi neutroni: “I terreni più asciutti emettono più neutroni di quelli più umidi, quindi possiamo dedurre quanta acqua c'è in un suolo osservando i neutroni che emette”, ha affermato l'esperto. L'acqua rilevata sotto la superficie delle Valles Marineris – e in particolar modo nella regione di Candor Chaos – potrebbe essere ghiaccio o chimicamente legata ad altri minerali, tuttavia, poiché le rocce nell'area circostante presentano poca acqua, i ricercatori ritengono che quella sotto la regolite marziana possa essere proprio ghiaccio. Saranno comunque necessarie ulteriori indagini per le conferme del caso, ma si tratta indubbiamente di una scoperta straordinaria per il futuro dell'esplorazione del Pianeta Rosso. I dettagli della ricerca “The evidence for unusually high hydrogen abundances in the central part of Valles Marineris on Mars” sono state pubblicate sulla rivista scientifica Icarus.

Foto Credit: ExoMars/ESA/ROSCOMOS

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