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Due semplici parole sembrano esistere in tutte le lingue

Su circa 7.000 lingue parlate in tutto il mondo, gli scienziati hanno individuato due parole che sembrano essere universalmente presenti.
A cura di Valeria Aiello
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Probabilmente tutti sappiamo che, per esprimerci al meglio in una lingua straniera, occorre pensare in quella lingua ed evitare le traduzioni letterali. Eppure, su circa 7.000 lingue parlate in tutto il mondo, sembrano esserci due parole universalmente presenti: “questo” e “quello”. Anche se nelle varie lingue sono molto diverse nel modo in cui si scrivono e nella pronuncia, queste due parole condividono uno stesso uso, in quanto vengono utilizzate per comunicare la posizione spaziale di persone o oggetti in relazione a chi parla.

In italiano, tendiamo ad esempio a utilizzare “questo” per descrivere gli ciò è fisicamente alla nostra portata e passiamo a “quello” quando abbiamo bisogno di indicare qualcosa o qualcuno che è più lontano. Questa separazione spaziale è la stessa anche in lingue non correlate all’italiano. In inglese, ad esempio, si usano “this” e “that”, per riferirsi a ciò che vicino oppure lontano, ma anche in cinese, giapponese e altre famiglie linguistiche più distanti esistono corrispettivi semantici che permettono di effettuare le distinzioni prossimali-distali. In altre parole, hanno un significato conservato e universale.

Per scoprirlo, un team di ricerca di 45 studiosi provenienti da tutto il mondo ha coinvolto quasi 1.000 persone di 29 lingue diverse percoprire una gamma di diverse famiglie linguistiche, dall’italiano all’inglese al norvegese, fino al giapponese, al mandarino e al vietnamita. Ai partecipanti allo studio non è stato detto che le parole che avrebbero utilizzato sarebbero state l’oggetto principale della ricerca.

Per l’analisi, i partecipanti sono stati fatti sedere attorno a un tavolo sul quale erano presenti una serie di oggetti di diversi colori e forme, che avevano la caratteristica di essere di colori chiaramente differenziati linguisticamente e possedere nomi di forme che erano tutti dello stesso genere, nel caso di lingue che hanno un genere grammaticale, come l’italiano.

Gli oggetti sono stati quindi spostati a diverse distanze – alla portata di chi parlava; fuori dalla portata di chi parlava ma alla portata del ricercatore di fronte a loro; oppure fuori dalla portata di entrambi. Ogni volta che l’oggetto veniva posizionato, a ogni singolo partecipante è stato chiesto di descriverlo nella propria lingua indicandone colore, nome e, soprattutto, utilizzando un dimostrativo spaziale, come ad esempio “questo triangolo giallo”. In seguito, quando i dati sono stati raccolti e analizzati statisticamente, il risultato è stato chiaro.

Abbiamo scoperto che in tutte le lingue che abbiamo testato, esiste una parola per gli oggetti che sono alla portata di chi parla e una parola per gli oggetti fuori portata” ha spiegato il professor Kenny Coventry, della Scuola di Psicologia dell’Università dell’East Anglia a Norwich, Regno Unito, e autore principale dell’articolo pubblicato su Nature Human Behaviour in cui sono dettagliati i risultati della ricerca. “Questa distinzione – ha aggiunto Coventry – può spiegare l’origine evolutiva precoce dei dimostrativi come forme linguistiche”.

Le lingue si evolvono e cambiano continuamente, ma la questione sulla possibilità che lingue diverse condividano il modo di comunicare la posizione spaziale degli oggetti – e cosa ciò potrebbe significare per il modo in cui pensiamo – è da sempre oggetto di controversie tra i linguisti. Ma, come spiegato dagli autori dell’articolo, questo studio è stato il primo ad analizzare la specificamente la faccenda dal punto di vista dei dimostrativi spaziali, contribuendo in qualche modo a risolvere un dibattito di lunga data.

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