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Cos’è la sindrome di Kessler e perché rischiamo la fine dell’esplorazione spaziale: si avvicina sempre più

Un nuovo studio lancia l’allarme sui rischi rappresentati dalle mega-costellazioni di satelliti. Una fortissima tempesta solare può infatti innescare la sindrome di Kessler e porre fine ai viaggi nello spazio per un tempo indefinito. Cos’è questo scenario catastrofico e perché è sempre più vicino.
A cura di Andrea Centini
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Nel 1978 il consulente della NASA Donald J. Kessler teorizzò uno scenario catastrofico in base al quale l'accumulo di detriti spaziali nell'orbita bassa terrestre (LEO) avrebbe di fatto azzerato la capacità di condurre l'esplorazione nello spazio. Il principio – passato alla storia come sindrome di Kessler – è semplice e si basa su una reazione a catena: un satellite viene colpito da un detrito di qualsiasi natura, le migliaia di frammenti che ne derivano colpiscono altri satelliti e avviano una sequenza distruttiva di eventi, in cui l'orbita viene rapidamente saturata dai pezzi dei dispositivi disintegrati.

Questo scenario non solo determina la fine dei molteplici e fondamentali servizi satellitari di cui godiamo, come ad esempio la navigazione satellitare GPS e il monitoraggio di atmosfera, oceani e foreste, ma anche l'impossibilità di condurre missioni spaziali e lanciare nuovi satelliti. Qualunque veicolo o razzo non riuscirebbe a superare l'immensa cintura di spazzatura spaziale attorno alla Terra, azzerando di fatto l'esplorazione del cosmo per un tempo indefinito. Insomma, addio Luna e Marte. Sebbene possa sembrare una condizione estrema e fantascientifica, in realtà secondo un nuovo affascinante studio siamo sempre più vicini a un simile scenario, principalmente a causa delle mega-costellazioni di migliaia di satelliti che continuiamo a lanciare l'orbita bassa terrestre. L'innesco della sindrome di Kessler? Una potente tempesta solare in grado di scatenare la reazione a catena di cui sopra.

A suggerire che siamo a un passo da tale, significativo rischio è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Dipartimento di Scienze Astrofisiche dell'Università di Princeton (Stati Uniti), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell'Università della Columbia Britannica (Canada) e del Campion College – Dipartimento di Fisica dell'Università della Regina. I ricercatori, coordinati dalla dottoressa Sarah Thiele, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato lo “stress ambientale” nell'orbita bassa terrestre determinato dal continuo incremento degli oggetti lanciati, in particolar modo dopo l'entrata in servizio delle mega-costellazioni con migliaia di satelliti, come gli Starlink di Elon Musk. I ricercatori hanno messo a punto una nuova metrica chiamata CRASH Clock, “che misura tale stress in termini di tempo necessario affinché si verifichi una collisione catastrofica in assenza di manovre anticollisione o in presenza di una grave perdita di controllo della situazione”, hanno spiegato gli scienziati nell'abstract dello studio.

In parole semplici, hanno determinato che se per qualche motivo gli operatori satellitari dovessero perdere il controllo dei veicoli, una collisione devastante in grado di innescare la reazione a catena della sindrome di Kessler si verificherebbe in appena 2,8 giorni. Avete letto bene. Del resto è stato calcolato che nell'orbita bassa terrestre un satellite si avvicina a un altro entro 1 chilometro ogni 22 secondi (per i soli Starlink accade ogni 11 minuti). Ogni anno, inoltre, gli operatori devono eseguire decine di manovre per impedire che i satelliti entrino in rotta di collisione con altri oggetti sulla medesima orbita (per gli Starlink sono 41 manovre). Anche la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è chiaramente interessata dai medesimi rischi. La dottoressa Thiele e colleghi hanno calcolato che nel 2018, prima che nascessero le mega-costellazioni di satelliti, il CRASH Clock (acronimo di Collision Realization and Significant Harm) era di ben 121 giorni: in appena 7 anni il rischio si è accresciuto in modo così significativo da portare il margine di sicurezza a soli 2,8 giorni, prima che la perdita di controllo possa determinare la sindrome di Kessler.

Tra i fenomeni in grado di innescare la reazione a catena vi sono proprio le tempeste solari, che impattano sui satelliti in due modi: innanzitutto aumentano la resistenza dell'aria, spingendo i dispositivi a deorbitare e consumare maggior carburante per mantenere la traiettoria (decine di Starlink appena lanciati sono andati distrutti a causa di una tempesta solare nel 2022); in secondo luogo, quando sono particolarmente intense, le tempeste solari o geomagnetiche possono “friggere” i sistemi di navigazione e controllo dei satelliti.

Ora, immaginate cosa accadrebbe se dovesse verificarsi un nuovo Evento di Carrington ai giorni nostri, analogo a quello che nel settembre del 1859 fece prendere fuoco ai telegrafi; è chiaro che l'intera rete di satelliti potrebbe essere travolta ed esposta a disservizi di una durata ben superiore al margine di sicurezza di 2,8 giorni, prima che una carambola inneschi la sindrome di Kessler. Un recente studio pubblicato su Scientific Reports da scienziati spagnoli ha determinato che nel decennio successivo (a partire dal 2019) sussiste un rischio dell'1,9 percento che possa verificarsi un altro Evento di Carrington. Ciò potrebbe realmente mettere fine alle ambizioni di esplorazione spaziale per un tempo indefinito. I dettagli dell'affascinante ricerca “An Orbital House of Cards: Frequent Megaconstellation Close Conjunctions” sono stati caricati su ArXiv in attesa della pubblicazione su una rivista scientifica.

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