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Cos’è il funerale celeste Jhator, nel quale il corpo dei defunti viene dato in pasto agli avvoltoi

Su alcune vette del Tibet e del Nepal i corpi dei morti vengono smembrati e dati in pasto agli avvoltoi, considerati animali sacri. È il funerale o sepoltura celeste Jhator, un rito che sposa appieno i principi di carità e altruismo del buddismo locale.
A cura di Andrea Centini
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Sulle vette del Tibet (e del Nepal) i defunti vengono smembrati e offerti in pasto agli avvoltoi, un vero e proprio dono alla natura profondamente radicato nei principi del buddismo locale. Si tratta del funerale celesteJhator”, un rituale di sepoltura che ai nostri occhi potrebbe apparire macabro e inopportuno, ma che in realtà è strettamente connesso anche alle aspre condizioni del territorio, oltre che alla religione. Nelle regioni himalayane, del resto, non sono molti i terreni a disposizione in cui poter (eventualmente) seppellire i corpi dei morti, inoltre il legname scarseggia, pertanto la cremazione rituale – come quella dell'induismo – non sarebbe facilmente praticabile. Col funerale celeste, pertanto, si abbracciano i precetti del buddismo tibetano e si fa un gesto prezioso nei confronti dell'ambiente; non c'è da stupirsi che lo Jhator – che significa letteralmente “fare l'elemosina agli uccelli” – sia considerato uno dei riti funebri più ecosostenibili del pianeta.

Il corpo come un involucro

Tutto ruota attorno all'idea che, per il buddismo, il corpo sia solo un involucro, un veicolo che trasporta la nostra anima. Dopo la morte l'anima si distacca e continua il suo viaggio in attesa della rinascita (samsara), la reincarnazione. Secondo la religione buddista generale, come spiegato da earthfuneral.com, la reincarnazione può avvenire subito dopo il decesso, tuttavia per quella tibetana (Bön) l'anima può vagare fino a 49 giorni prima di trovare un nuovo “ospite”.

Quando si muore inizia pertanto un nuovo viaggio dello spirito, mentre le spoglie mortali si trasformano in ciò che una persona può restituire alla natura, alla terra. Poiché gli avvoltoi in Tibet e in Nepal sono considerati animali sacri, offrire loro il proprio corpo è visto come un grande gesto di carità. Il funerale celeste, sottolinea Saru Khadka su thewondernepal.com, “è in linea con i principi buddisti di compassione e generosità”, inoltre è considerato “l'ultimo atto caritatevole del defunto, che fornisce sostentamento a un altro essere vivente e mantiene il ciclo della vita”. Questo tipo di offerta, evidenzia l'esperta, sposa anche l'insegnamento buddista che tutto è transitorio e che il distacco dal mondo terreno "è essenziale".

Il rito del funerale celeste Jhator

La cerimonia della sepoltura celeste si basa su uno specifico rituale, durante il quale il corpo del defunto viene preparato, smembrato e accompagnato dalle preghiere dei monaci. Per un paio di giorni può essere mantenuto in posizione seduta, per permettere all'anima di iniziare "serenamente" il suo viaggio verso la rinascita; dopo di ciò viene sezionato da monaci addetti (rogyapa). Anche gli organi vengono rimossi, per agevolare il lavoro degli uccelli. Solitamente lo Jhator si compie su vette specifiche e remote, dove è più frequente la presenza dei grossi uccelli saprofagi e la “vicinanza al cielo”. Il cervello e le ossa possono essere frantumate e mescolate con farina e burro per favorire la consumazione dei “Dakini”, gli avvoltoi sacri, che vengono richiamati con un'orazione tradizionale. Le parti che restano possono essere bruciate, sepolte o ridotte in farina e sparse sul terreno, sempre incarnando il concetto del ridonare qualcosa alla terra dopo il trapasso.

Chiaramente si tratta di una procedura tradizionale strettamente connessa alla religione che non può essere “esportata” al di fuori dei contesti locali del Tibet e del Nepal, alla luce delle rigidissime norme legate al trattamento e all'esposizione dei resti umani. Di fatto, in Italia e altrove un simile rito sarebbe del tutto illegale, nonostante il profondo significato spirituale ed ecologista che accompagna il funerale celeste.

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