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Come viene smaltita la carcassa di una balena

A volte i grandi cetacei come balene e capodogli muoiono arenati sulle spiagge pubbliche, dove non è possibile lasciare carcasse di decine di tonnellate a decomporre. Ecco come vengono trattate e smaltite.
A cura di Andrea Centini
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I cetacei misticeti – cioè le balene con i fanoni – sono notoriamente gli animali più grandi della Terra; la balenottera azzurra (Balaenoptera musculus), la più maestosa in assoluto con i suoi 33 metri di lunghezza massima e circa 180 tonnellate di peso, è anche la più colossale creatura che sia mai vissuta sul nostro pianeta. Anche più degli affascinanti dinosauri del Mesozoico. Questi giganti gentili svolgono un importantissimo ruolo ecologico, sia da vivi che da morti, ma solo se le loro carcasse vengono lasciate dove vengono trovate (o eventualmente trasportate nuovamente in mare). In molti casi, tuttavia, i grandi cetacei finiscono arenati sulle spiagge pubbliche, dalle quali per diverse ragioni devono essere rimossi.

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La prima ragione di tale necessità è la sicurezza pubblica, o sarebbe meglio dire il “decoro”. Una carcassa di decine di tonnellate in decomposizione all'aria aperta emette infatti odori nauseabondi, mentre i fluidi corporei iniziano a fuoriuscire e i tessuti cominciano a putrefarsi. Come spiegato alla BBC dal dottor Andrew Brownlow, responsabile dello Scottish Marine Animal Stranding Scheme (SMASS) – un servizio di soccorso e recupero destinato agli animali marini spiaggiati – non ci sono comunque particolari rischi biologici. “Devi rimuovere una balena morta da una spiaggia pubblica in modo che non causi angoscia alle persone o inizi a perdere grasso e fluidi corporei nell'ambiente, che sono più sgradevoli che pericolosi. In realtà ci sono pochissime malattie che abbiamo trovato – e abbiamo cercato molto attentamente – che possono essere trasmesse dalle carcasse di balene morte”, ha spiegato il biologo marino.

In realtà c'è il rischio che il processo di decomposizione possa far accumulare gas nella carcassa fino a farla letteralmente esplodere; famoso il caso di un capodoglio (un cetaceo odontocete, non una vera balena) esploso a Taiwan nel 2004, mentre veniva trasportato su un camion verso un laboratorio per l'autopsia. “Che cosa orribile. Questo sangue e le altre parti fuoriuscite in strada sono disgustose e l'odore è veramente terribile”, disse alla BBC News uno dei testimoni (molti furono raggiunti dalle interiora e dal grasso dell'animale).

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Insomma, se un grande cetaceo muore su una spiaggia non sempre può essere lasciato lì, in attesa che la natura – e in particolar modo gli animali spazzini come gli uccelli – faccia il proprio mestiere. Questo può essere accettato sull'arenile di un'isola remota, ma di certo non sul lungomare di Rimini o di Rio de Janeiro, frequentatissimi di persone. Dunque, quali opzioni si hanno a disposizione per smaltire carcasse di così grandi dimensioni? Come indicato dal dottor Brownlow, tra le prime opzioni vi è quella di seppellire il cetaceo direttamente sotto la sabbia, una soluzione non sempre fattibile ma comunque tra le più utilizzate. Poi c'è l'opzione della discarica, almeno per quel che concerne i tessuti molli, che possono essere inceneriti allo stesso modo delle carcasse di bovini e altri animali che muoiono negli allevamenti. In questi casi molto spesso si passa prima per l'esame autoptico – ad esempio per determinare le cause della morte – e poi all'inceneritore, cercando di conservare lo scheletro dell'animale, se possibile. Molti scheletri di balene, delfini, capodogli e zifi che campeggiano nei musei derivano proprio da animali spiaggiati.

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Ma la distruzione della carcassa non è ritenuta la soluzione ideale dagli scienziati. Infatti si priva l'ambiente naturale di una preziosissima fonte di risorse, come specificato dal dottor Brownlow. “Semplicemente portarle fuori dalla spiaggia, fuori dall'ambiente marino e incenerirle o portarle in discarica in realtà deruba l'ambiente marino di questa fonte di nutrienti davvero importante”, ha spiegato l'esperto, aggiungendo che le balene quando muoiono e affondano nell'oceano creano delle vere e proprie isole ricche di nutrienti, in grado di sostenere “un'enorme biodiversità”. Ma purtroppo non sempre è possibile trainare un animale di decine di tonnellate, portarlo in alto mare e lasciarlo affondare. Anche perché i corpi di alcune grandi balene galleggiano sull'acqua, almeno per un certo periodo di tempo; c'è il rischio di ritrovarsi la carcassa nuovamente su una spiaggia, se non la si porta davvero molto, molto lontano.

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Un caso peculiare di smaltimento di un grande cetaceo ha riguardato il celebre capodoglio Siso, il cui corpo si spiaggiò a Capo Milazzo (Sicilia) nel 2017 . L'esemplare, un maschio di 10 metri, morì dopo essere rimasto intrappolato in una rete da pesca – tra le principali minacce per questi animali -, nonostante i soccorsi riuscirono a liberarlo parzialmente dal groviglio innanzi alle isole Eolie. La sua carcassa venne letteralmente scarnificata dal biologo marino Carmelo Isgrò, che si tuffò più volte in mare per rimuovere i tessuti molli e preservare lo scheletro, oggi esposto al Museo MUMA di Milazzo come monito dell'impatto antropico sulla fauna marina. Il nome Siso è un omaggio al soprannome di un amico del biologo, Francesco, che lo aveva aiutato col recupero del capodoglio; rimase ucciso da un'auto pirata pochi giorni dopo lo spiaggiamento del cetaceo.

Recenti studi hanno dimostrato che questi meravigliosi animali possono aiutarci anche a contrastare i cambiamenti climatici da noi stessi provocati. Attraverso la “fertilizzazione” degli oceani con gli escrementi, infatti, i grandi cetacei aumentano le popolazioni di fitoplancton che a loro volta sequestrano la dannosa anidride carbonica. Questa preziosa funzione si è purtroppo ridotta drasticamente a causa del numero di esemplari sterminati durante l'epoca della baleneria.

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