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Cani e gatti di casa possono trasmetterci batteri resistenti agli antibiotici

Lo suggerisce una nuova ricerca presentata al Congresso europeo di microbiologia clinica e malattie infettive di Copenaghen.
A cura di Valeria Aiello
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Quando sentiamo parlare di antibiotico-resistenza, o più semplicemente di batteri resistenti agli antibiotici, probabilmente tutti sappiamo che l’uso continuo e non appropriato di questi farmaci nella medicina umana e veterinaria stia esercitando una pressione selettiva, favorendo l’emergere, la moltiplicazione e la diffusione di ceppi resistenti. Non sempre però abbiamo contezza dell’impatto di questo fenomeno nella nostra quotidianità, ritenendo che il problema sia per lo più confinato agli ambienti ospedalieri e alle strutture sanitarie, dove una serie di fattori – tra cui l’affollamento, l’impiego esteso di antibiotici e le basse soglie di igiene – guida l’insorgenza e la diffusione delle infezioni causate da questi pericolosi microrganismi.

Una nuova ricerca, presentata al Congresso europeo di microbiologia clinica e malattie infettive (ECCMID) 2023 di Copenaghen, ha tuttavia messo in luce che parte di queste infezioni può essere dovuta alla trasmissione di batteri resistenti da parte di cani e gatti che vivono con noi in casa, apparentemente sani ma potenziale serbatoio di quelli che gli esperti chiamano organismi multi-farmacoresistenti (multidrug-resistant organism, MDRO).

Questi batteri, che includono alcuni dei ceppi resistenti più comuni nelle infezioni nosocomiali, come lo Stafilococco aureus resistente alla meticillina (MRSA), gli enterococchi resistenti alla vancomicina (VRE) e gli enterobatteri resistenti ai carbapenemi (CRE) e alle cefalosporine di terza generazione (3GCRE), sono una preoccupazione crescente in tutto il mondo, perché resistenti a più antibiotici – tra cui la penicillina e le cefalosporine – progettati per ucciderli. Le stime più recenti, pubblicate su The Lancet, indicano che le infezioni provocate da batteri resistenti agli antimicrobici nel 2019 hanno causato quasi 1,3 milioni di morti nel mondo e che, nello stesso anno, circa 5 milioni di decessi a livello globale sono associati alla resistenza antimicrobica .

Cani e gatti di casa possono trasmettere batteri resistenti ai loro proprietari

Per verificare in che misura gli animali domestici in casa incidano sulle infezioni da batteri resistenti dei proprietari, un team di ricerca dell’Ospedale universitario Charité di Berlino ha condotto un’indagine su oltre 2.800 pazienti ricoverati tra giugno 2019 e settembre 2022 presso il nosocomio tedesco e sui cani e gatti che vivevano nelle loro famiglie. “I nostri risultati confermano che la condivisione di organismi multi-farmacoresistenti tra animali da compagnia e i loro proprietari è possibile” ha affermato la dott.ssa Carolin Hackmann che ha coordinato lo studio.

Per l’analisi, gli studiosi hanno raccolto una serie di tamponi e utilizzato il sequenziamento genetico per identificare sia le specie batteriche in ciascun campione, sia la presenza di geni di resistenza ai farmaci nei microrganismi. Il sequenziamento dell’intero genoma ha inoltre mostrato la possibile condivisione di batteri resistenti. Ai partecipanti allo studio sono state anche chieste informazioni circa i fattori di rischio per la farmaco-resistenza, come ad esempio recenti infezioni da batteri resistenti, uso di antibiotici, recenti degenze ospedaliere e la presenza di cateteri urinari o centrali, oltre il numero di cani e gatti in casa, la vicinanza del contatto e lo stato di salute degli stessi animali domestici.

L’indagine ha indicato che, complessivamente, il 30% dei pazienti ricoverati in ospedale è risultato positivo a batteri multi-resistenti, di cui l’11% era proprietario di un cane e il 9% di un gatto. D’altra parte, l’analisi dei tamponi degli animali domestici ha indicato che il 15% dei cani e il 5% dei gatti erano positivi ad almeno un batterio multi-resistente e, in quattro casi, il ceppo corrispondeva a quello dei loro proprietari (stessa specie e stessa resistenza agli antibiotici).

Il sequenziamento dell'intero genoma ha confermato che solo una delle coppie corrispondenti era geneticamente identica in un cane e nel suo proprietario. L’agente patogeno era l’Escherichia coli resistente alle cefalosporine di terza generazione (3GCRE).

Nonostante il basso livello di condivisione di uno stesso ceppo tra i pazienti ospedalieri e i loro animali domestici, i portatori di questi batteri possono diffonderli nel loro ambiente per mesi e possono essere una fonte di infezione per altre persone più vulnerabili in ospedale, come quelle con un debole sistema immunitario” ha aggiunto la dott.ssa Hackmann, osservando che trattandosi di uno studio osservazionale, l’indagine non ha direttamente mostrato che il contatto ravvicinato con animali domestici abbia causato il trasferimento di batteri resistenti all’uomo.

In altre parole, pur suggerendo la possibilità di condivisione, i risultati non chiariscono la direzione del trasferimento (dagli animali da compagnia ai proprietari, o viceversa). Al contempo, i pochi casi identificati suggeriscono che “né il possesso di gatti né cani sia un importante fattore di rischio per la colonizzazione di organismi multi-resistenti nei pazienti ospedalieri” ha precisato l’esperta, tenendo però conto che una tale incidenza possa non essere rappresentativa della popolazione generale o di gruppo ad alto rischio, come gli allevatori di animali.

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