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Il dramma del Sud Italia: un residente su tre è a rischio povertà e i giovani fuggono

L’ultimo rapporto Svimez diffuso stamane evidenzia le fragilità del Sud Italia: nonostante l’economia sia in crescita, così come l’occupazione – ma solo a basso reddito – le condizioni sociali degli abitanti risultano allarmanti e un residente su tre è a rischio povertà. Nel 2016, inoltre, si è assistito a una vera e propria fuga dei cervelli dal Meridione.
A cura di Charlotte Matteini
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Nel corso degli ultimi anni il governo ha stanziato dei fondi statali al fine di invertire la spirale recessiva che attanaglia l'economia del Sud Italia e cercare di spingere il Meridione verso la ripresa economica. Stando all'ultimo rapporto Svimez diffuso stamane, l'economia delle regioni meridionali è in ripresa e anche l'occupazione è tornata a salire rispetto ai primi anni di crisi economica, ciò che però non si arresta è la cosiddetta "fuga dei cervelli". I lavoratori, soprattutto giovani, scappano dal Sud Italia e alla fine del 2016 si è registrato un esodo di circa 62.000 abitanti. In particolare la Sicilia ha perso 9.300 residenti, la Campania 9.100, la Puglia 6.900, mentre il fenomeno del "pendolarismo" nel 2016 ha interessato circa 208mila persone, di cui 54 mila si sono spostate all’interno del Sud, mentre ben 154mila sono andate al Centro-Nord o all’estero.

"Negli ultimi quindici anni, la popolazione meridionale è cresciuta di soli 264 mila abitanti a fronte dei 3 milioni e 329 mila nel Centro-Nord; nello stesso periodo la popolazione autoctona del Sud è diminuita di 393 mila unità mentre è cresciuta di 274 mila nel Nord. Alla fine del 2016 la popolazione italiana si è stabilizzata in prossimità dei 60,6 milioni di residenti: rispetto al 2015 è diminuita di 76 mila unità (-1,3 per mille). Nel Mezzogiorno la riduzione è stata di 62mila unità (-3 per mille), alla fine del 2016 si contano nell’area 20 milioni e 781 mila unità pari al 34,3% della popolazione. Il peso del Sud va riducendosi pur se lentamente, dall’inizio del nuovo millennio quando risultava pari al 36%. L’Italia è divenuta un paese di immigrazione, ma la distribuzione si è progressivamente squilibrata a vantaggio del Nord. Nel Sud il saldo migratorio totale continua ad essere negativo e a ampliarsi ulteriormente, passando da -20 mila del 2015 a -27,8 mila del 2016 (-1,0 per mille il tasso), mentre nel Centro- Nord risulta positivo ed in aumento da 51,7 mila unità a 93,5 mila unità (pari a +2,3 per mille). Tra le regioni meridionali, vi è un saldo migratorio totale fortemente negativo in Sicilia, che perde 9,3 mila residenti (-1,8 per mille), in Campania (-9,1 mila residenti, per un tasso migratorio netto di – 1,6 per mille) e in Puglia (-6,9 mila residenti, per un tasso migratorio netto pari a -1,7). Con 0,2 mila e 0,6 mila unità in più, l’Abruzzo e la Sardegna sono, invece, le uniche regioni meridionali a guadagnare residenti".

Secondo la Svimez, il Meridione in futurò continuerà a perdere residenti (5,3 milioni di abitanti in meno tra il 2016 e il 2065). Il motivo? Principalmente allo stato attuale il Sud Italia non riesce ad attrarre immigrati dall'estero e sarà interessato da un progressivo calo della natalità. La crescita economica delle regioni del Centro – Nord Italia ha accelerato il fenomeno migratorio e quello del pendolarismo dal Sud Italia: i residenti che hanno infatti deciso di andar via dal Meridione, nell'ultimo anno in particolare, hanno lasciato i propri luoghi di nascita nel tentativo di trovare maggiori opportunità, un'occupazione più stabile o meglio retribuita rispetto a quanto offerto generalmente in Sud Italia.

"Secondo la SVIMEZ, il Sud non è più un’area giovane né tanto meno il serbatoio della demografia del resto del paese. Le famiglie fanno sempre meno figli e i giovani se ne vanno; la popolazione invecchia e si riduce. Per di più, su una popolazione attiva relativamente meno giovane grava un onere per la sicurezza sociale enorme e crescente, che sottrae inevitabilmente risorse per investimenti produttivi in grado di migliorare la produttività e la competitività del sistema economico".

Per quanto riguarda la crescita dell'occupazione, l'ultimo rapporto Svimez dedicato all'economia del Mezzogiorno evidenzia una tendenza: l'occupazione effettivamente nel corso del 2016 è cresciuta, ma solo a basso reddito e per lo più a favore dei cinquantenni. "Nel 2016 è proseguita la crescita dell’occupazione al Sud, con ritmi più accentuati rispetto al resto del Paese. Gli occupati sono aumentati di 101 mila unità, +1,7%, ma persiste il dualismo territoriale, essendo nel Mezzogiorno il tasso d’occupazione ancora lontano oltre 20 punti dalla media europea alla quale, invece, sono vicine le regioni del Centro – Nord (47% nelle regioni meridionali, 69% Centro-Nord)", si legge nel rapporto. Inoltre, rispetto alle regioni centro-settentrionali – che hanno recuperato quasi integralmente i posti di lavoro persi durante la fase di recessione economica – le regioni del Sud Italia non sono ancora riuscite a colmare il gap e i posti di lavoro persi rispetto all'inizio della crisi ammontano a circa 381mila unità.

"Nel 2016 la crescita ha interessato marginalmente per 18 mila unità, +1,3%, l’occupazione giovanile, ma la crescita maggiore dei posti di lavoro al Sud continua a riguardare gli ultra cinquantenni, con oltre 109 mila unità, pari al +5,6%. Va tenuto conto che durante la fase di crisi, al Sud si erano perduti 622 mila posti di lavoro giovanili e ne sono stati recuperati nel biennio di ripresa (2015-2016) appena 40 mila. Non a caso il tasso di occupazione giovanile resta ancora bassissimo nel Sud, pari al 28,1%, rispetto al 47,3% delle regioni del Centro Nord. In particolare il tasso di disoccupazione giovanile è al 35,8%, contro il 16,1% del Centro Nord". 

Ultimo capitolo, il più allarmante, è la condizione economica dei residenti nel Sud Italia. Sebbene l'economia sia in crescita rispetto al passato, le condizioni sociali non seguono lo stesso trend positivo. "La ripresa economica non sembra ancora in grado di incidere su una condizione sociale che resta allarmante, in cui si combinano povertà, diseguaglianze e immobilità sociale. I poveri sono ormai stabilmente intorno ai 4,5 milioni, di cui oltre 2 milioni nel solo Mezzogiorno. Ancora nel 2016 circa 10 meridionali su cento risultano in condizione di povertà assoluta contro poco più di 6 nel Centro-Nord: erano rispettivamente pari a 5 e 2,4 solo dieci anni prima".

"Al divario territoriale Nord-Sud se ne aggiungono altri, come quello centro-periferie. L’incidenza della povertà assoluta nel Mezzogiorno nel 2016 aumenta nelle periferie delle aree metropolitane e nei comuni con più di 50 mila abitanti (da 8,8% nel 2015 a 11,1% nel 2016) e diminuisce sensibilmente, invece, nei comuni centro delle aree metropolitane e in misura più contenuta nei comuni con meno di 50 mila abitanti (da 8,4% nel 2015 a 5,4% nel 2016 e da 8,8% a 7,8% rispettivamente). Un meridionale su tre è esposto al rischio di povertà, che nel Sud si attesta al 34,1%. In tutte le regioni meridionali, inoltre, risulta superiore sia rispetto al dato nazionale (19,0%) sia rispetto a quello del Centro-Nord (11,0%). Nelle regioni più popolate, Sicilia e Campania, il rischio di povertà arriva a sfiorare il 40%".

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