1.620 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

“Ho bevuto, ma non è stato l’alcool a spogliarmi, a penetrarmi, a spingermi a terra”

La lettera della ragazza violentata dietro un cassonetto dei rifiuti nel campus della Standford University da Brock Allen Turner, uno studente poi condannato a sei mesi di reclusione. “Bere troppo è un errore, scrive la donna, ma non è un crimine”.
A cura di Susanna Picone
1.620 CONDIVISIONI
Immagine

Nel gennaio del 2015 alcune persone hanno visto un ragazzo di nome Brock Allen Turner violentare una giovane di 23 anni che aveva perso conoscenza dietro un cassonetto dei rifiuti nel campus della Standford University, in California. Un anno dopo, lo studente di Standford è stato condannato a sei mesi di carcere. Annunciando la sentenza il giudice ha detto che pur comprendendo la “devastazione sofferta dalla vittima”, riteneva che una condanna più lunga (rischiava 14 anni per stupro) avrebbe avuto un impatto severo sulla vita sportiva del ragazzo, che è un nuotatore affermato. La storia in questi giorni sta facendo discutere molto anche perché il padre del ragazzo ha scritto una lettera spiegando che sei mesi di carcere sono troppi per soli “venti minuti di azione”. Secondo l’uomo, suo figlio non merita il carcere per quanto fatto.

Ma c’è anche un’altra lettera che in questi giorni è stata ripresa da molti media internazionali. È quella della vittima, che tra le varie cose ha detto di essere distrutta a livello emotivo tanto da non voler più il suo corpo. La ragazza ha ammesso di aver bevuto troppo la sera della violenza e di essere caduta in stato di incoscienza. Per questo non ha potuto affermare in tribunale di non essere stata consenziente al rapporto: un particolare che ha permesso al giudice di essere più clemente con il colpevole. Questo il ricordo della donna di quella notte.

Il 17 gennaio 2015 era una serata tranquilla. Mio padre aveva preparato qualcosa per cena e mi sono seduta a tavola con mia sorella più giovane, che era venuta a trovarci per il fine settimana. Avevo lavorato a tempo pieno e si stava avvicinando il momento di andare a letto. Pensavo di stare a casa da sola, guardare la TV e leggere, mentre lei andava a una festa con i suoi amici. Poi, siccome era la mia unica serata con lei, e non avevo niente di meglio da fare, perché non andare a una stupida festa a dieci minuti da casa? A ballare come una pazza e mettere in imbarazzo mia sorella più piccola?

Poi, una volta lì, la ragazza ha detto di aver abbassato la guardia e di aver bevuto troppo in fretta. A quel punto ricorda di essersi svegliata su una barella.

Sul dorso delle mie mani e sui gomiti avevo sangue secco e bende. Ho pensato di essere caduta. Ero molto calma e ho chiesto dove fosse mia sorella. Mi hanno spiegato che ero stata aggredita. Quando mi è stato finalmente permesso di usare il bagno, ho tirato giù i pantaloni che mi avevano dato in ospedale, e poi le mutande, e non ho sentito niente. Ricordo le mie mani che scorrevano sulla pelle senza sentire niente. Ho guardato in basso e non c’era niente. Il sottile lembo di tessuto, l’unica cosa tra la mia vagina e tutto il resto, non c’era; tutto dentro di me era stato spento. Non riesco ancora a descrivere quella sensazione.

La giovane ha dunque spiegato quello che le è accaduto dopo che le è stato chiesto di firmare dei fogli su cui era scritto “vittima di stupro”.

Stavo in piedi, nuda, mentre le infermiere misuravano e fotografavano le varie abrasioni sul mio corpo. Tre di loro lavoravano per togliermi gli aghi di pino dai capelli, sei mani per riempire una busta di plastica. C’erano dei tamponi inseriti nella mia vagina e nel mio ano, aghi, pillole e una Nikon puntata tra le mie gambe aperte […] Avrei solo voluto prendere il mio corpo, e tutto il resto, e lasciarlo in ospedale, come fosse stato una giacca.

Le hanno detto che era stata trovata dietro un cassonetto, forse penetrata da uno sconosciuto ma che poteva andare a casa e tornare alla sua vita.

Sono diventata più chiusa, più arrabbiata, stanca, irritabile, vuota. Non puoi restituirmi la vita che avevo prima di quella notte. Mentre tu ti preoccupi della tua reputazione, io tutte le sere metto in freezer cucchiaini, così la mattina, quando mi sveglio con gli occhi gonfi dal pianto, possa avere qualcosa di freddo da appoggiare sulle palpebre.

Nella sua lettera la giovane parla anche del fatto che quella sera si era lasciata andare e aveva bevuto, ma che bere non è un atto criminale.

L’alcool non è una scusa. È un fattore? Sì. Ma non è stato l’alcool a spogliarmi, a infilarmi le dita nella vagina, a spingermi la testa a terra, spogliandomi. Aver bevuto troppo è stato un errore che ammetto, ma non è un crimine.

1.620 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views