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Gli italiani che hanno vinto il Nobel per la letteratura

Ben 20 sono i premi Nobel italiani per le più svariate discipline. Di questi, sei sono per la letteratura. In attesa degli annunci ufficiali per questo 1015, ricordiamo i grandi della letteratura italiana che hanno raggiunto questo ambito riconoscimento.
A cura di Federica D'Alfonso
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Manca davvero poco: dal 5 al 12 ottobre verranno annunciati i premi Nobel per questo 2015. Si comincerà con quello per la medicina, poi sarà la volta della chimica e dell'economia; come da tradizione, la data del premio per la letteratura è ancora sconosciuta. Nel frattempo, proprio per il Nobel per la letteratura tantissimi sono i pronostici e le previsioni tentate: Murakami, Roth, ma anche Umberto Eco e Dacia Maraini. Le ipotesi sono tante, e a sperare che il premio torni in Italia dopo 18 anni sono in molti: l'Italia infatti ha una lunga ed illustre tradizione di premi Nobel. Su 20 premi che l'Italia ha portato a casa, 6 sono per la letteratura.

1. Giosuè Carducci

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Fu il primo italiano a ricevere il premio Nobel per la letteratura, nel 1906. "Non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all'energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica": questa la motivazione. Carducci fu il primo italiano a ricevere l'ambito riconoscimento, ma un curioso aneddoto è legato al nome del grande poeta: scorrendo gli elenchi del sito ufficiale del Nobel Prize egli non compare fra gli "italiani". Carducci è nato nel 1935 a val di Castello, in Toscana, e all'epoca l'Italia non esisteva ancora. Il Nobel infatti ha questa curiosa particolarità: di definire i premiati in base alla nazionalità al momento della nascita. Carducci è per questo motivo un nobel della "Toscana (ora Italia)".

2. Grazia Deledda

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Nel 1926, in occasione del discorso di ringraziamento, Grazia Deledda parla così:

Quando cominciai a scrivere, a tredici anni, fui ostacolata dai miei genitori. Un filosofo ammonisce: se tuo figlio scrive versi, correggilo e mandalo per la strada dei monti. Se lo trovi nella poesia la seconda volta, puniscilo ancora. Se lo fa per la terza volta lascialo in pace, perché è un poeta.

La Deledda descrive in questo modo l'atto supremo della scrittura, una scrittura che per lei è sempre inevitabilmente rimasta attaccata alla Sardegna e alle esperienze di bambina: ha raccontato l'etica patriarcale del mondo sardo, le sue atmosfere fatte di affetti intensi e selvaggi, e la propria personale concezione dell'esistenza umana come in preda a forze superiori. "Canne al vento" sono le vite degli uomini e la sorte è concepita come "malvagia sfinge". Il riconoscimento ha tenuto conto di tutto questo, e infatti nella motivazione del premio si legge: "per i suoi scritti ispirati, che con le chiare immagini della sua vita nell'isola nativa con profondità e simpatia hanno affrontato le grandi problematiche generali dell'umanità".

3. Luigi Pirandello

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Nobel nel 1934 "per il suo audace e ingegnoso rilancio dell’arte drammatica e scenica". Celebre resta il suo discorso in occasione del tradizionale banchetto con i reali svedesi, dopo la consegna del premio. Pirandello descrive in quest'occasione la sua personalissima idea di scrittura, descrivendo se stesso come "un bambino", un fanciullo che divenendo adulto non è venuto meno alla sua totale fede e fiducia in ciò che ha imparato. Da questo può solo nascere un amore ed un rispetto della vita indispensabili per assorbire le delusioni amare, le esperienze dolorose, ferite terribili, e tutti gli errori dell'innocenza che donano profondità e valore all'esistenza, dice Pirandello.

Di fatto nell'illusione di creare me stesso, ho creato solo quello che sentivo e che riuscivo a credere.

4. Salvatore Quasimodo

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Per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi: questa la motivazione dell'Accademia svedese in occasione del conferimento del premio nel 1959. Durante la premiazione Quasimodo leggerà "Il poeta e il politico", un'intensa riflessione che verrà pubblicata in seguito in un volume omonimo tradotto in moltissime lingue.

Il poeta nasce solo e (a differenza del letterato che partecipa del potere) cresce solo. Il politico giudica con diffidenza la libertà della cultura e per mezzo della critica conformista tenta di rendere immobile lo stesso concetto di poesia, considerando il fatto creativo al di fuori del tempo e inoperante; come se il poeta, invece di un uomo, fosse un'astrazione. Il poeta è la summa delle diverse esperienze dell'uomo del suo tempo. Ma il poeta non teme il politico: il politico vuole che l'uomo sappia morire con coraggio, il poeta vuole che l'uomo viva con coraggio.

5. Eugenio Montale

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Per la sua caratteristica forma poetica che, con grande sensibilità, ha interpretato i valori umani nella prospettiva di una vita senza alcuna illusione: questa la motivazione del premio conferito a Montale nel 1975. Il poeta rispose a questo straordinario riconoscimento con una delle riflessioni più intense del proprio tempo e ancora profondamente attuala. "È ancora possibile la poesia?" si chiede Montale. È ancora possibile scrivere versi dopo gli orrori della guerra, in una società completamente massificata e in un momento di crisi profonda della stessa concezione di "umanità"?

Si potrebbero moltiplicare le domande con l'unico risultato che non solo la poesia, ma tutto il mondo dell'espressione artistica o sedicente tale è entrato in una crisi che è strettamente legata alla condizione umana, al nostro esistere di esseri umani, alla nostra certezza o illusione di crederci esseri privilegiati, i soli che si credono padroni della loro sorte e depositari di un destino che nessun'altra creatura vivente può vantare. Inutile dunque chiedersi quale sarà il destino delle arti. E' come chiedersi se l'uomo di domani, di un domani magari lontanissimo, potrà risolvere le tragiche contraddizioni in cui si dibatte fin dal primo giorno della Creazione.

6. Dario Fo

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Quello di Dario Fo è stato senza dubbio il premio più inaspettato e criticato della storia del Nobel italiano. Nel '97 Fo riceve il premio "perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, ha dileggiato il potere restituendo la dignità agli oppressi". La scelta di Fo da parte dell'Accademia Svedese prese in contropiede i molti rappresentanti della cultura italiana che, da anni, patrocinavano la candidatura di Mario Luzi. Alcuni parlarono addirittura di un'offesa,e lo stesso Luzi, intervistato, affermò: "come autore non lo conosco". Ma Dario Fo se la rise anche in quell'occasione, accettando con infinita umiltà il riconoscimento e regalando all'Italia un pezzo indimenticabile di storia letteraria.

La serata della premiazione si concluse con il secco richiamo all'ordine di mia moglie: "Come arriviamo a casa, ti ammollo un sonnifero che ti farà dormire per almeno un paio di giorni. Cammina, che la festa è finalmente terminata".

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