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Guerra in Ucraina

Zelensky: “800 bombe russe su di noi sono la risposta alla richiesta di accoglienza alla Nato…”

L’Ucraina non entrerà a far parte della Nato. Volodymyr Zelensky ha spiegato, con un velo di polemica, che Kiev non ne fa parte e deve riconoscere di non poterci entrare.
A cura di Biagio Chiariello
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“Ognuna delle 800 bombe russe che hanno colpito l’Ucraina è la risposta alla vecchia domanda alla Nato, sul fatto se la Nato è veramente disposta ad aprire le porte per l’Ucraina. Se le porte fossero aperte non avremmo dovuto chiedere all’alleanza per 20 giorni di chiudere il cielo sull’Ucraina”. Lo afferma in un nuovo video, pubblicato su Instagram, il premier dell’Ucraina Volodymyr Zelensky.

Ogni mattina, ogni sera, ringrazio i militari. A tutti i nostri eroi che difendono coraggiosamente lo Stato. A tutti coloro che fermano il nemico nonostante il fatto che gli occupanti siano molte volte di più.

E oggi voglio parlare di tutti gli ucraini pacifici che sono stati portati via da questa guerra. Memoria eterna a tutti coloro che sono morti per l'Ucraina! L'eterna maledizione al nemico che ha preso migliaia di vite" ha detto ancora il presidente ucraino su Instagram

L'ammissione di Zelensky sulla Nato

In precedenza Zelensky ha tenuto un discorso online alla Joint Expeditionary Force di Londra, citato dall'agenzia Unian, durante il quale ha ammesso, con rassegnazione, che "l'Ucraina si rende conto che non è nella Nato. Abbiamo sentito per anni parlare di porte aperte, ma abbiamo anche sentito dire che non possiamo entrarci, e dobbiamo riconoscerlo". Non è mancato un appello ai soldati russi. "Potete ancora smettere di uccidere. Vedete come stiamo combattendo. Per voi sarebbe molto più facile. E, cosa ancora più importante, potete porre fine alla distruzione della democrazia", ha aggiunto il presidente ucraino. "Noi possiamo fermare la Russia", ma se non ci aiuterete a farlo le forze di Putin punteranno poi "verso di voi", ha spiegato rivolto ai membri del Jef (Regno Unito, Danimarca, Islanda, Finlandia, Svezia, Olanda, Estonia, Lettonia e Lituania), convocato dal premier britannico Boris Johnson.

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