Un 13enne ha giustiziato in pubblico l’uomo che ha ucciso 13 membri della sua famiglia in Afghanistan

Tre colpi d’arma da fuoco hanno squarciato l’aria, e tra la folla di migliaia di persone radunate nello stadio di cricket di Khost, in Afghanistan, si è levato un boato. Un ragazzo di appena 13 anni aveva appena giustiziato l’uomo ritenuto responsabile dell’uccisione della sua famiglia.
L’esecuzione pubblica, un ritorno ai giorni più oscuri del regime dei talebani, ha riguardato un uomo condannato dalla Corte Suprema per l’omicidio di 13 membri della stessa famiglia, tra cui nove bambini e la madre. Il condannato, insieme a un complice, aveva fatto irruzione nella loro casa facendo una strage.
Ai familiari delle vittime era stata offerta la possibilità di perdonare l’uomo, risparmiandogli la vita. Loro hanno scelto la pena di morte, ha riferito il tribunale. E così, davanti a circa 80mila spettatori, il ragazzino ha sparato tre volte, mentre qualcuno urlava “Allahu Akbar”.
Tra i presenti, Mujib Rahman Rahmani, residente di Khost, ha definito lo spettacolo "macabro", ma allo stesso tempo “necessario”: secondo lui, queste esecuzioni potrebbero “avere effetti positivi, perché nessuno oserebbe più uccidere in futuro”. C'è da dire che i Taliban, per evitare riprese, avevano vietato l’ingresso nello stadio di qualsiasi telefono con fotocamera.

Non è stata l’unica: dal loro ritorno al potere nell'agosto 2021, le esecuzioni pubbliche sono diventate purtroppo ricorrenti. L’undicesima si era svolta a ottobre, con un altro condannato giustiziato davanti a migliaia di persone. Negli anni Novanta, durante il loro primo governo, i Taliban erano noti per esecuzioni pubbliche, frustate e lapidazioni.
Oggi, la legge talebana impone un’interpretazione rigida della Sharia: esecuzioni pubbliche, divieti per donne e ragazze di frequentare scuole superiori e università e restrizioni quasi totali sul lavoro femminile. Le punizioni corporali, soprattutto frustate, restano comuni per reati come furto, adulterio e consumo di alcol.
Il relatore speciale delle Nazioni Unite per l’Afghanistan, Richard Bennet, ha chiesto di fermare l’esecuzione, definendola “disumana, crudele e contraria al diritto internazionale”. Il suo appello però al momento è rimasto inascoltato.