video suggerito
video suggerito
Guerra in Ucraina

“Tregua subito con l’Ucraina o rischio guerra nucleare”: parla l’ultimo leader dell’opposizione in Russia

Da Mosca, in un’intervista esclusiva con Fanpage.it, Grigory Yavlinsky avverte: “I leader europei devono convincere Trump a perseguire un cessate il fuoco immediato in Ucraina, per scongiurare Armageddon”. Il leader social-liberale accusa le fallimentari riforme degli anni ’90: “La Russia di oggi e quel che accade in Ucraina ne sono il prodotto, anche l’Occidente è responsabile”. E vorrebbe “un Europa dall’Atlantico a Vladivostok nel 2050”.
A cura di Riccardo Amati
0 CONDIVISIONI
Immagine
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

"Il punto di partenza necessario resta un cessate il fuoco, perché ogni trattativa per una soluzione politica definitiva avrà tempi lunghissimi”: Grigory Yavlinsky, unico leader politico di opposizione in Russia che sia ancora vivo, libero e a capo di un partito, Yabloko, ritiene che l’allineamento americano al volere del Cremlino — che non intende fermare la carneficina prima di un accordo complessivo in linea con le sue condizioni — condanni a morte il processo di pace. “Il pericolo è che si arrivi a uno scontro diretto tra Russia e NATO: sarebbe la guerra nucleare totale, fin da subito”.

Dato che l’amministrazione Usa “non è in grado di capire” cosa ci sia davvero in ballo, “sta ai leader europei elaborare una vera strategia che parta dal cessate il fuoco”, e convincere Trump. “Unico interlocutore possibile” per Vladimir Putin, data l’attuale incomunicabilità tra Mosca e le altre capitali del Vecchio Continente.

Yavlinsky – dicevamo – è l’unico leader politico di opposizione in Russia che sia ancora vivo, libero e a capo di un partito, Yabloko. Che in russo, significa “mela”. Ha un orientamento pacifista — tanto da criticare anche la NATO, oltre che Putin — e segue i principi del liberalismo sociale. Il suo fondatore è stato un protagonista della politica russa fin dai primi anni ’90. Un suo programma per la transizione dall’economia sovietica a quella di mercato, proposto in prima battuta a Mikhail Gorbachev e apprezzato dai maggiori esperti, non fu mai implementato. Boris Eltsin, poi, scelse le privatizzazioni selvagge. “Dettate da Washington”, secondo Yavlinsky. Nella sua sfida a Yeltsin per la presidenza, nel 1996 il politico della “Mela” prese il 7,3% dei voti.

“Furono anni di fallimenti e di caos”, ricorda. “Colpa del governo russo, ma anche dell’Occidente”. Rabbia, sete di rivalsa e cinismo dilagarono. L’oppositore del Cremlino è convinto che l’attuale regime, la sua politica e le sue guerre siano diretta conseguenza di quegli anni. Aveva capito tutto dall’inizio. Di nuovo candidato senza speranza alle presidenziali del 2000 — le prime con Putin — spiegò in un’intervista come l’ex colonnello del Kgb avrebbe puntato sulla “sindrome di Versailles”, rendendosi popolare col revanscismo, identificando veri o presunti nemici da combattere, alzando la tensione.

L’ironia è che Eltsin aveva pensato non a Putin ma a Yavlinsky, come primo ministro e quindi possibile erede della presidenza: lo rivelano documenti diplomatici scovati dallo storico Sergey Radchenko, che ha partecipato alla nostra intervista. Yavlinsky ha confermato che nel 1999 rifiutò l’incarico perché comportava il suo sostegno alla guerra in Cecelna. Già nel 1998 Eltsin avrebbe voluto promuoverlo. Non se ne fece niente per la mancanza di un “kompromat”, disse lo stretto collaboratore di Eltsin Igor Malashenko al diretto interessato, che ci riferisce quella conversazione. Il candidato, insomma, non era ricattabile. Un must, per ogni eventuale delfino di Eltsin? Primo ministro diventò Sergey Kirienko — oggi vice capo di gabinetto di Putin. Alla fine, toccò al futuro “zar”.

Immagine

Quel che segue è parte di un colloquio di quasi due ore con Grigory Alekseyevich Yavlinsky. Domande e risposte sono state riassunte e riviste per esigenze di spazio e per chiarezza.

Grigory Alekseyevich, il summit in Alaska e la Conferenza di Washington non sembrano aver avvicinato la pace in Ucraina. Che fare?

"La soluzione è solo il cessate il fuoco, seguito da negoziati".

Trump ora dice che è meglio il contrario: prima si parla e solo dopo si fermano le ostilità. Proprio come vuole Mosca.

"Il prezzo in termini di vite umane sarebbe altissimo, perché le trattative andranno per le lunghe. È inaccettabile. E poi, negoziando a guerra ancora in corso, la variabile dell’andamento dei combattimenti aumenterebbe il rischio di un conflitto diretto tra Russia e NATO. Significherebbe guerra nucleare. Fin dal primo giorno".

Altre sanzioni, magari più efficaci, avrebbero potuto convincere Putin ad accettare la precondizione di una tregua?

"Il Cremlino non teme le sanzioni. Non sono un fattore decisivo. La Russia ha sempre opportunità considerevoli, anche grazie alla Cina e ai Paesi Brics".

Lei è un economista. La vostra spesa militare è alle stelle. L’obiettivo di bilancio per l’intero 2025 è stato già sfondato. La stessa Banca di Russia è preoccupata per la sostenibilità dell’attuale economia di guerra. Come siete messi?

"Nel breve termine la situazione economica non è critica, ma è vero che se nulla cambia, nel medio termine sorgeranno problemi gravi. Che nel lungo termine diventeranno critici. La causa principale non sono le sanzioni ma la struttura profondamente difettosa dell’economia russa. Il calo del prezzo del petrolio genera tensioni di bilancio, mentre cresce la necessità di finanziare programmi sociali e costruzioni abitative, in parallelo all’aumento delle spese per la difesa. Il governo continua a basare i suoi calcoli su prezzi del petrolio ormai inesistenti. Anche il rafforzamento periodico del rublo pesa. Ulteriore fattore critico: la de-privatizzazione. Negli ultimi tre anni la Russia ha nazionalizzato beni per quasi 4.000 miliardi di rubli (circa 42,7 miliardi di euro, ndr). Nell’ultimo anno il ritmo è triplicato. Ciò aiuta a rimpinguare il bilancio. Ma distrugge il settore privato e mina la stabilità. Attualmente il 60% della spesa è per salari pubblici e prestazioni sociali e il 40% per il complesso militare-industriale. Il sistema dovrà essere riformato, o la Russia finirà per avere grossi problemi".

La crescente pressione economica potrebbe convincere Putin a un cessate il fuoco pre-negoziale?

"Non nel prossimo futuro. La struttura del Paese e il rapporto tra autorità e cittadini fanno sì che neppure gravi problemi economici influenzino gli obiettivi politico-militari. Un cessate il fuoco potrà essere raggiunto solo grazie a concreti sforzi diplomatici congiunti tra Stati Uniti ed Europa".

Pensa davvero che sia ancora possibile?

"Oggi è più problematico per l’Ucraina di quanto lo sarebbe stato due anni fa, quando la sua situazione era migliore. È dal 2022 che sostengo la necessità di una tregua immediata. Ho fatto appello ai belligeranti, ai leader mondiali e pure al Papa. Sono mancati sforzi diplomatici adeguati. L’Occidente mi ha sorpreso per la sua incapacità di creare diplomazia".

Ma l’Occidente ci ha provato, a evitare la guerra. Ricordiamo Macron a parlare con Putin, in fondo a dieci metri di tavolo. E nel gennaio 2022 Usa e NATO avevano “aperto la porta” a una piattaforma negoziale “su cui si sarebbe potuto lavorare”, dissero fonti diplomatiche russe a Fanpage.it. Ma il Cremlino nemmeno la considerò. Era già troppo tardi?

"Non ci sono dubbi su chi abbia iniziato. Fin dalla primavera del 2020 avvertii pubblicamente che la guerra era probabile e si stava avvicinando. Le cause sono le stesse di tanti anni fa. Erano evidenti fin da allora. Sono radicate nel fallimento delle riforme negli anni ’90. Che fu un fallimento anche mio. Più in generale, di tutto il Paese. E l’Occidente vi contribuì, promuovendo le peggiori ricette economiche possibili. Quelle che portarono al 2.600% di inflazione, alle cannonate sul parlamento nel 1993 e alle privatizzazioni criminali. Con il Fmi che continuò a finanziare  la Russia durante la guerra in Cecenia. I russi erano pronti per riforme serie. La gente era disposta ad affrontare ogni eventuale problema, voleva davvero creare un’economia di mercato e uno Stato democratico. Tutto questo fallì".

Lei condannò l’invasione dell’Ucraina ben prima che avvenisse. Perché pensava che sarebbe senz’altro avvenuta?

"Nel luglio 2021 — quando Putin pubblicò l’articolo “Sull’unità storica di russi e ucraini” — avevo avvertito che lo scontro sarebbe stato inevitabile. Purtroppo, né i leader politici né l’opinione pubblica russa hanno preso sul serio la minaccia. Le prime preoccupazioni in Occidente emersero solo tra novembre e dicembre dello stesso anno".

Troppo tardi, insomma. Della necessità di un cessate il fuoco lei poi parlò anche a Putin. Conferma? 

"Il 26 ottobre 2023 mi sono incontrato con il presidente e ho proposto di iniziare immediatamente i negoziati per la cessazione del fuoco, offrendo la mia partecipazione. Putin ascoltò, ma non rispose. Secondo Reuters, poco dopo questa proposta di cessazione del fuoco, inviata riservatamente da Mosca a Biden tramite intermediari, fu respinta dagli Stati Uniti, e i contatti si conclusero senza risultati".

Stabilito che secondo lei il processo di pace deve partire da un cessate il fuoco, torniamo alla domanda iniziale: che fare? Ovvero: come ottenerlo? Perché Putin nell’ottobre 2023 forse la vedeva diversamente, ma ora a una tregua non ci pensa proprio.

"L’Europa deve elaborare una strategia e le tattiche per attuarla, presentarle a Trump e convincerlo riservatamente di ciò che è necessario fare, perché lui e la sua amministrazione non sono preparati a comprendere in pieno la portata di ciò che sta accadendo. Ma hanno grande influenza. Trump è l’unico che può parlare con Putin. Le relazioni con l’Ue sono troppo compromesse. I leader europei sono in grado di raggiungere Putin solo tramite Trump. Il loro compito è trovare un linguaggio comune con lui".

Come definisce il tipo di regime al potere in Russia?

"Il sistema politico russo attuale è un autoritarismo personalistico che si sta muovendo verso il totalitarismo".

Teme per la sua sicurezza, considerando la sua costante opposizione alla guerra e alle politiche del regime?

"Può succedere di tutto. Ma queste sono le mie convinzioni. Questo è il mio lavoro per il futuro del mio Paese. Che mi è molto caro. Come anche l’Europa nel suo insieme. Cerco di fare tutto ciò che posso per il futuro. Anche se domani tutto può cambiare. Dopo questa intervista, forse. Qualcosa può accadere in qualsiasi momento. Lo so".

Che Russia vorrebbe, Grigory Alekseyevich?

"Vorrei un Paese in cui il primo valore fossero i diritti umani: vera libertà, dignità, inviolabilità della vita. E opportunità per tutti. Politicamente, ritengo che la Russia sia europea. E vorrei che nel 2050 facesse parte di una grande Europa da Lisbona a Vladivostok".

La “Casa comune” che sognava Mikhail Gorbachev…

"Solo così l’Europa potrà competere con Stati Uniti e Cina. Sarà la cosa giusta da fare".

0 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views