Sanaa, studentessa fuggita in Italia: “Sono al sicuro, ma il mio cuore e la mia testa sono ancora a Gaza”

“Finalmente, dopo 733 giorni di guerra, è arrivato l'8 ottobre. Non ci sono parole per descrivere la mia gioia. Finalmente l'incubo è finito e la nostra speranza è tornata a vivere. La mia famiglia sta bene, i miei amici, i miei vicini, i miei cari. Tutto questo mi rende felice. Vorrei essere a Gaza, con la mia famiglia, festeggiare, piangere, abbracciare tutti. Vorrei essere a Gaza in questo momento", continua a ripetere Sanaa, evacuata solo una settimana fa dal sud di Gaza City fino alla Giordania per poi arrivare in Italia. Oggi vaga per le strade di Siena con il volto chino sul cellulare, scorrendo le immagini che arrivano da Gaza.
È arrivata in Italia da pochi giorni con una borsa di studio che sa di miracolo. Ha vent’anni, una sorella gemella e un futuro che, fino a due anni fa, immaginava luminoso. Oggi è al sicuro, lontana dalle bombe, dalla fame, dalla paura, ma la sua mente e il suo cuore non hanno mai lasciato Gaza. “Sono felice di poter andare in un luogo senza occupazione, senza sangue, per completare i miei studi. Ma come può accadere davvero, se tutta la mia famiglia è ancora lì?”. A Fanpage.it affida il suo racconto, la cronaca di una vita spezzata e la speranza, flebile ma tenace, di riabbracciare i suoi cari.
Una vita felice, spazzata via il 7 ottobre
“La mia vita prima del 7 ottobre era bellissima”, ricorda, e la sua voce si incrina mentre osserva il sole tramontare al di là dei palazzi di Siena. “Piena di felicità, comfort e sicurezza. Avevo tante speranze e grandi sogni. Ero una studentessa, andavo all’università e adoravo passeggiare per le splendide strade di Gaza”. Una normalità che oggi le appare come un lusso irraggiungibile. Tutto è cambiato quella mattina: “Mi stavo preparando per andare a lezione quando, all’improvviso, è stato come il giorno del Giudizio. Missili da ogni parte, il rumore delle esplosioni, il panico. La corrente è andata via, anche internet, eravamo isolati dal mondo. È un ricordo indelebile”.
Da quel giorno, per lei e la sua famiglia, la pace è diventata una parola vuota. La loro casa nel quartiere Sabra, nel nord di Gaza City, è solo un cumulo di ricordi. Inizia un calvario fatto di sfollamenti continui e traumi per lei ancora incancellabili: “Mio padre è stato imprigionato dall’occupazione israeliana per circa 7 mesi. Abbiamo camminato nove ore a piedi per fuggire da Gaza City. Abbiamo subito insulti, offese, minacce”, continua la giovane.
La fuga e la fame: "Nessun luogo era sicuro"
Il primo ordine di evacuazione è arrivato nel secondo mese di guerra. “La sensazione era terribile. Lasciare la propria casa, i propri ricordi, per andare verso il nulla”, spiega Sanaa. La famiglia di Sanaa resiste, finché non è stato più possibile: “Siamo fuggiti solo quando i carri armati sono arrivati alla nostra porta e hanno iniziato a sparare”. Così Sanaa, la madre Samah, la sorella gemella Sarah e le altre tre sorelle e due fratelli scappano per raggiungere le zone dichiarate “sicure”, ma la realtà è un’altra: “Anche lì tutti venivano bombardati duramente. Siamo stati sfollati ancora, e ancora, e ancora. Non abbiamo trovato nessun luogo dove ci fosse sicurezza”.
Alla violenza delle armi presto si è aggiunta quella della fame. “La mia famiglia e io abbiamo vissuto un’intera settimana senza cibo, bevendo solo acqua”, continua a raccontare a Fanpage.it. Anche nei momenti più bui, però, Sanaa non si è arresa. Insieme allo zio distribuiva cibo e vestiti nei campi profughi. E con la madre ha fatto qualcosa di straordinario: “Abbiamo aperto un centro educativo nei campi. Le scuole sono chiuse da due anni, i bambini non studiano. Volevamo che l’educazione continuasse, non volevamo che l’ignoranza si diffondesse tra le nuove generazioni”.
In Italia è al sicuro: “Il mio cuore è rimasto a Gaza”
Nel 2024 è arrivata la notizia della borsa di studio ma solo a settembre 2025, pochi giorni fa, Sanaa è finalmente partita. Ma la salvezza individuale è una condanna alla preoccupazione: “Qui è tutto diverso, strano. Comunico con la mia famiglia ogni giorno, non passa giorno senza che li senta. La loro situazione è durissima”. Suo padre, che lavorava in un ristorante di falafel, non ha più un’entrata, la famiglia, composta da sette figli, non ha alcun reddito da due anni.
La sua evacuazione è stata possibile grazie a progetti come “Fiori dai Cannoni”, che si batte per creare corridoi umanitari per gli studenti palestinesi. Maria Grazia Pantano, portavoce del progetto, spiega a Fanpage.it: “Rimangono circa 150 persone da evacuare. Non abbiamo tempi certi, speriamo avvenga il più presto possibile, ma la situazione sul campo cambia rapidamente. Abbiamo fiducia nel governo, che sta organizzando la logistica”.
Mentre in Italia si costruisce una rete di solidarietà, il pensiero della giovane studentessa è uno solo: “Spero che riescano tutti a lasciare Gaza sani e salvi”. Studiare, immaginare un futuro, è quasi impossibile con il cuore in frantumi. Un cuore rimasto lì, tra le strade della sua città, con la madre, il padre, e la sorella gemella Sarah.