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Conflitto Israelo-Palestinese

Perché nella Striscia di Gaza non arrivano aiuti umanitari a sufficienza via terra

A causa dei continui ed estenuanti controlli da parte di Israele al valico di Rafah si è creata una coda chilometrica di camion pieni di aiuti umanitari. Nel frattempo pochi chilometri più in là, nella Striscia di Gaza, milioni di palestinesi rischiano di morire di fame.
A cura di Davide Falcioni
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"L'imminente carestia nella parte settentrionale di Gaza è un disastro interamente provocato dall'uomo. Ribadisco il mio appello per un cessate il fuoco umanitario immediato". Lo ha scritto nei giorni scorsi il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, in un post su X in merito alla situazione umanitaria a Gaza. Guterres ha invitato le autorità israeliane "a garantire un accesso completo e illimitato ai beni umanitari in tutta Gaza" e ha fatto appello alla comunità internazionale "a sostenere pienamente i nostri sforzi umanitari. Dobbiamo agire ora per prevenire l’impensabile, l’inaccettabile e l’ingiustificabile".

A Guterres ha fatto eco l’Alto rappresentante dell'UE per la politica estera, Josep Borrell, intervenendo allo European Humanitarian Forum 2024, a Bruxelles. Secondo il capo della diplomazia europea "la fame a Gaza è usata come arma di guerra. E non si tratta di mancanza di scorte sufficienti, ci sono derrate alimentari bloccate". L'ombra di una spaventosa carestia si allunga giorno dopo giorno sempre di più sulla popolazione di Gaza, tanto che il recente rapporto dell'Integrated Food Security Phase Classification stima che entro la metà di luglio, ben 1,1 milioni di palestinesi potrebbero affrontare quella che è stata definita come la fase peggiore della fame: una "mancanza estrema di cibo" e gravi livelli di fame, morte, miseria e malnutrizione acuta.

Rapporto IPC sulla fame a Gaza
Rapporto IPC sulla fame a Gaza

L'accesso degli aiuti umanitari a Gaza è ostacolato da Israele; mese dopo mese migliaia di camion si sono accumulati in Egitto e sarebbero pronti ad entrare al valico di Rafah, se solo Tel Aviv li autorizzasse. Nel frattempo sono in corso lanci di aiuti umanitari paracadutati dal cielo, mentre la nave di Open Arms ha trasportato 200 tonnellate di cibo una settimana fa. Si tratta, però, di metodi largamente inefficaci. Cibo, medicinali, acqua potabile e beni di prima necessità dovrebbero arrivare infatti via terra, in modo capillare e soprattutto rapido. Il New York Times, in un lungo approfondimento pubblicato due giorni fa, ha ricostruito tutti gli ostacoli che impediscono agli aiuti di arrivare a Gaza.

Il lungo percorso degli aiuti

Ciascun camion di aiuti umanitari deve percorrere decine di chilometri e fare innumerevoli soste prima di arrivare a destinazione, un processo che può richiedere fino a tre settimane. Dopo essere giunti via aereo all'aeroporto di El Arish o trasportati da Port Sa'id, la maggior parte degli aiuti vengono inventariati in magazzini egiziani; da lì, i camion vengono caricati, ripetutamente controllati dalle autorità israeliane e infine inviati verso Rafah, al confine con Gaza, non prima però di essere sottoposti a nuove lunghe ispezioni al valico di Kerem Shalom o al valico di Nitzana. Solo quando le autorità israeliane hanno controllato ogni tir centimetro per centimetro essi vengono fatti incolonnare a Rafah.

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Nelle ultime quattro settimane, secondo un database gestito dall’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che sostiene i palestinesi, ogni giorno sono arrivati ​​nell'enclave palestinese una media di circa 140 camion di cibo e altri aiuti. Secondo il World Food Programme, tuttavia, sarebbero necessari 300 camion di cibo ogni giorno per iniziare a soddisfare i bisogni alimentari di base delle persone. Il risultato è che martedì scorso circa 1.200 tir erano in attesa a El Arish, in Egitto, di cui più di 800 contenenti scorte di cibo.

Le ispezioni israeliane e il "gioco dell'oca" dei camion

Sebbene Israele affermi che solo l'1,5% dei camion vengono respinti la verità è ben diversa. L’UNRWA ha infatti confermato che le contorte ispezioni israeliane bloccano gli aiuti imponendo ai tir file chilometriche ad ogni posto di blocco; i mezzi inoltre sono costretti a  tornare indietro, e riprendere la fila da capo, se anche un solo articolo al loro interno viene respinto. Una sorta di macabro "gioco dell'oca" sulla pelle dei palestinesi affamati. Secondo alcuni operatori i motivi per cui un carico potrebbe non superare l’ispezione sono ignoti e quasi mai vengono esplicitati: di certo, sono ritenuti beni critici oggetti come filtri per l'acqua e bisturi inclusi nei kit medici per curare i bambini. Si tratta di materiale che viene sistematicamente rifiutato perché – a detta di Israele – potrebbe essere utilizzato per scopi militari.

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Le strade distrutte e il rischio di incappare nei raid israeliani

Dopo settimane di attesa e controlli estenuanti alcuni camion riescono finalmente ad oltrepassare il valico di Rafah, ma non si tratta che dell'inizio: i mezzi, guidati da appaltatori e personale delle Nazioni Unite, devono superare ulteriori checkpoint e viaggiare su macerie e strade distrutte per dirigersi verso il nord di Gaza, schivando spesso le bombe che piovono dal cielo. I viaggi si rivelano ogni volta molto pericolosi e spesso i tir non arrivano mai a destinazione nella fascia settentrionale della Striscia. A Rafah invece gli aiuti sono un po' più disponibili, ma i magazzini per lo stoccaggio sono utilizzati anche come rifugi da decine di migliaia di persone. La distribuzione del cibo, quindi, è tutt'altro che semplice ed è stato segnalato come alcuni residenti abbiano aperto mercati nei quali vendono a prezzi esorbitanti alimenti che sarebbero in verità gratuiti.

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