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Opinioni

Perché l’Occidente si sta accorgendo solo ora dei massacri a Gaza? La nuova puntata di Direct

Da metà maggio in poi, improvvisamente, i governi occidentali sembrano essersi accorti che a Gaza è in atto una carneficina nei confronti della popolazione civile. Cos’è cambiato, nel frattempo?
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DIRECT è il Podcast in cui cerchiamo di analizzare le cose che accadono, assieme, partendo dalle domande che mi arrivano. È dedicato agli abbonati di Fanpage (ci si abbona qui), ma abbiamo reso alcuni episodi disponibili per tutti su Spotify a questo link.

Oggi rispondiamo alla domanda di Carlo

Ma come? Del Papa che sostiene Gaza non ne parlate? Bel modo di informare i giovani.

Ti prendo in parola, caro Carlo. Non tanto per parlare di quel che ha detto il papa, in realtà. Ma perché ogni pretesto è buono per parlare di quel che sta accadendo a Gaza.

“È sempre più preoccupante e dolorosa la situazione nella Striscia di Gaza. Rinnovo il mio appello accorato a consentire l’ingresso di dignitosi aiuti umanitari e porre fine alle ostilità, il cui prezzo straziante è pagato dai bambini, dagli anziani e dalle persone malate”: ecco quel che ha Papa Leone XIV detto lo scorso 21 maggio nella sua prima udienza generale del mercoledì

Non sono parole nuove, intendiamoci. Anche Papa Francesco aveva più volte chiesto la fine delle ostilità a Gaza. E, ricorda chi lo conosceva bene, che aveva l’abitudine di telefonare ogni sera al parroco di Gaza. Esprimendo, ogni sera, il desiderio di recarsi nella Striscia a portare solidarietà ai suoi abitanti.

E non sono nemmeno parole isolate, ora come ora.

Perché sì, in effetti è vero: mai come in questi giorni, in effetti, soprattutto in Occidente i toni su Gaza e su quel che sta facendo Israele a Gaza stanno cambiando.

E la cosa curiosa è che mercoledì 21 maggio sono successe altre tre cose, relativamente a Gaza, ancora più sorprendenti delle parole del Papa.

Uno: il Regno Unito ha annunciato di aver sospeso i negoziati per un accordo di libero scambio con Israele. Nel suo discorso al Parlamento di Londra, il ministro degli Esteri David Lammy ha descritto i piani israeliani come “ripugnanti, mostruosi e moralmente ingiustificabili”.

Due: la maggioranza dei paesi europei – 17 su 27 – ha votato per la revisione degli accordi di associazione con Tel Aviv fino a poche settimane fa considerati un ‘tabù diplomatico’. Tra i favorevoli a rivedere quegli accordi, spiccano i Paesi Bassi, da sempre stretti alleati di Israele.

Tre: l’Italia ha votato contro alla revisione di quell’accordo. Ma come segno di ringraziamento, lo stesso giorno, l’esercito israeliano ha sparato in aria durante una visita di diplomatici a Jenin. Tra loro c’era anche il viceconsole italiano Alessandro Tutino, rimasto illeso. Il governo italiano, per bocca del ministro Tajani, ha protestato duramente: “Le minacce contro i diplomatici sono inaccettabili”. Tutto il resto evidentemente sì, è accettabile. Però persino l’Italia si è quasi indispettita nei confronti di Israele. E questa, a suo modo, è una notizia.

Ora, domanda: come mai tutto a un tratto i Paesi Occidentali hanno improvvisamente scoperto che quel che sta facendo Israele a Gaza è, cito gli inglesi, “ripugnante, mostruoso e moralmente ingiustificabile”, mentre fino a qualche settimana fa chi si azzardava a parlare di catastrofe umanitaria, o di genocidio, a Gaza, veniva immediatamente tacciato di antisemitismo?

Perché, ce lo dobbiamo ricordare, la guerra che Israele ha mosso su Gaza è iniziata, di fatto, il 7 ottobre del 2023. Seicento giorni fa, più o meno. E in seicento giorni ha prodotto una quantità di orrore che è difficile anche solo metterlo in fila.

Ci proviamo:

54mila morti, di cui circa 18mila bambini.

1 milione e 300 mila persone costrette ad abbandonare la propria casa, circa il 90% della popolazione, di cui 610mila bambini.

8 persone su 10 e 9 bambini su 10 tra quelli sopravvissuti a rischio carestia, con l’Unicef che pochi giorni fa ha raccontato che c’è cibo solo per un bambino ogni tre.

1400 operatori sanitari uccisi.

L’89% dei sistemi idrici e igienico-sanitari e il 92% delle abitazioni distrutte o danneggiate.

Tutto questo, soprattutto, non è un danno collaterale. Ma è figlio di una strategia ben precisa.

È il 9 ottobre del 2023 quando Yoav Gallant, allora ministro della difesa israeliano –su cui pende un mandato d’arresto della corte penale internazionale per crimini di guerra – ordina “un assedio completo” e il blocco totale delle forniture di cibo, elettricità e carburante a Gaza. E lo giustifica dicendo che Israele sta “combattendo animali umani e ci comporteremo di conseguenza.” Aggiungendo che, proprio per questo, ha deciso di togliere “ogni freno” al suo esercito.

Tutto perfettamente consequenziale con ciò che è avvenuto in questi seicento giorni.

E tutto perfettamente coerente con quel che sta avvenendo anche in queste ore.

Con due milioni di palestinesi di Gaza in coda per un aiuto alimentare a Rafah, dopo mesi di embargo, a fronte di soli 406mila pasti distribuiti. Una guerra del pane crudele e senza senso, in cui esseri umani che condividono la medesima tragedia lottano disperati per un pacco alimentare.

E con una folla di israeliani che, nelle stesse ore, è scesa in piazza per celebrare la festa della bandiera, al grido di “Gaza è nostra”, “Morte agli arabi”, “Che i loro villaggi brucino”. Tra loro anche il ministro della sicurezza israeliano Itamar Ben-Gvir, che si è rivolto a Netanyahu criticandolo per aver permesso di far entrare aiuti militari nella striscia di Gaza: “‘Caro primo ministro, non dobbiamo dare loro aiuti umanitari, i nostri nemici meritano solo una pallottola alla testa”.

Non si tratta di pochi facinorosi radicalizzati, peraltro. Un sondaggio condotto dalla Pennsylvania State University ha rivelato che l’82% degli ebrei israeliani è favorevole alla deportazione totale dei palestinesi di Gaza. E che il 47% degli intervistati approva anche il loro sterminio.

Il tutto, dopo che il 6 maggio scorso è stata annunciata la volontà di dare il via all’operazione chiamata “I carri di Gedeone”, volta all’occupazione permanente della Striscia. Che prelude, questo nemmeno viene più negato, alla deportazione totale dei 2 milioni di palestinesi che ancora vivono a Gaza.

Ecco perché non è improprio parlare di una volontà, e di un progetto di genocidio del popolo palestinese. Ad affermarlo con forza è anche Rula Jebreal, giornalista, scrittrice e docente palestinese con cittadinanza israeliana, naturalizzata italiana: “Sono anni che noi palestinesi lanciamo l’allarme: sapevamo che l’impunità diffusa – che dura da 58 anni – la colonizzazione selvaggia e illegale e la violazione di tutti gli ordini della Corte Internazionale di Giustizia e delle risoluzioni ONU, sarebbero sfociati in un genocidio coloniale. Sono 58 anni che la destra radicale israeliana comunica chiaramente le sue intenzioni genocidarie, ma il mondo ha scelto di ignorarle. Stiamo pagando il prezzo del fallimento nel far rispettare a Israele la legalità internazionale”.

Torniamo al 21 maggio, però.

Perché molti governi e molte opinioni pubbliche occidentali alzano il sopracciglio solo oggi? Perché si sono improvvisamente accorti di quel che sta capitando a Gaza?

A pensar male si fa peccato, diceva Giulio Andreotti, ma il sospetto è che c’entri il mutato atteggiamento degli Stati Uniti d’America e di Donald Trump nei confronti di Netanyahu.

Occhio alle date. Perché è del 12 maggio, 9 giorni prima, la prima visita in Medio Oriente di Donald Trump. Una visita in cui succedono due cose molto significative.

La prima: Il viaggio tocca Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, ma non Israele. È una tappa mancante che non passa inosservata.

La seconda: che in Arabia Saudita Trump chiude accordi commerciali per centinaia di miliardi di dollari con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti su armi e intelligenza artificiale.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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